L’anoressia psicogena o mentale, costituita dall’associazione di disturbi fisici
e psichici, è caratterizzata da un rifiuto sistematico del cibo che provoca un
marcato dimagrimento che può giungere fino a quadri di cachessia. Colpisce
prevalentemente il sesso femminile, anche se il 5-10 % dei pazienti è rappresentato
da maschi. L’età di insorgenza più tipica è in epoca adolescenziale, con una
distribuzione bimodale che mostra due picchi a 14,5 e a 18 anni; sono descritti casi
a insorgenza tardiva, oltre i 30 anni e addirittura in epoca postmenopausale. Le
classi sociali più colpite sembrano essere quelle medie o elevate.Le
caratteristiche nucleari del disturbo si riassumono nella presenza di gravi
comportamenti autoimposti tesi alla perdita di peso e determinati dalla paura
patologica di ingrassare, associati ad alterazioni della sfera endocrina. Il
problema centrale dell’anoressia quindi non è tanto un disturbo alimentare, quanto
piuttosto un disturbo complesso che riguarda la visione del proprio corpo e
l’utilizzazione perversa che l’anoressica fa del proprio corpo emaciato, esibito con
apparente autonomia, ma che invece viene usato come controllo dell’ambiente
circostante.Tra i vari tipi di criteri diagnostici, il più recente e
completo è quello del DSM-IV che si articola nei seguenti punti:
Rifiuto di mantenere il peso corporeo a livello o al di sopra del peso
minimo normale per l’età e l’altezza.
Intensa paura di ingrassare e diventare obeso, paura patologica
assolutamente ingiustificata dalle effettive condizioni ponderali, che non
diminuisce con il progressivo diminuire del peso.
Disturbi dell’immagine corporea con alterazioni della percezione delle
dimensioni del proprio corpo che talora possono avere caratteristiche
deliranti; la paziente afferma di essere normale o grassa anche nella più
marcata emaciazione.
Amenorrea secondaria per almeno 3 mesi consecutivi, oppure presenza di cicli
mestruali solo con opportuna terapia.
Il DSM-IV identifica inoltre due sottogruppi:
il tipo restricter, nel quale la diminuzione del peso viene
perseguita attraverso la dieta, il digiuno e l’esercizio
fisico;
il tipo bulimico (binge eating/purging
type) nel quale si verificano regolarmente crisi bulimiche
e/o condotte di eliminazione quali l’autoinduzione del vomito e l’uso di
lassativi, diuretici, enteroclismi.
Il decorso può essere variabile: di solito si verifica un episodio singolo
seguito da una remissione più o meno completa, oppure può manifestarsi un andamento
ricorrente.Fattori prognostici sfavorevoli sono il sesso maschile, la
compresenza di disturbi di personalità, un marcato calo ponderale, un grave disturbo
dell’immagine corporea, l’appartenenza al sottotipo bulimico, un’associazione con il
disturbo ossessivo-compulsivo o con un disturbo di personalità
schizotipico.Fattori favorevoli sono rappresentati da un’età più giovane e
la presenza di un buon adattamento sociale e lavorativo premorboso.La
mortalità può variare dal 5% al 20%, per la maggioranza dei casi dovuta a squilibrio
elettrolitico e, molto più raramente, a suicidio.Numerose sono le ipotesi
eziopatogenetiche. Le teorie psicoanalitiche classiche descrivono una regressione
alla fase orale (Freud), una difesa contro fantasie inconsce di fecondazione
(Abraham), un incompleto superamento della fase schizoparanoide (M. Klein). Alcuni
autori considerano l’anoressia come una fobia del peso, dove il dimagrimento e il
digiuno servirebbero come condotta di evitamento. Più recentemente,
l’interpretazione psicodinamica si è orientata verso lo studio delle relazioni
interpersonali e familiari dell’anoressica. Secondo Sullivan, lo sviluppo armonico
delle relazioni interpersonali nel bambino è determinato dal soddisfacimento di due
bisogni fondamentali: il bisogno di gratificazione libidica e del sentimento del
proprio potere. L’appagamento di questi due bisogni consente di realizzare la terza
esigenza fondamentale, il bisogno di sicurezza.Nel soggetto anoressico, il
rapporto con una madre premurosa, ma incapace di accettare l’esigenza di autonomia e
il bisogno di potere della figlia determina una situazione di scissione. Il bisogno
di soddisfazione libidica, espresso dall’alimentazione, viene infatti pienamente
gratificato, mentre il bisogno di potere è costantemente represso e frustrato; si
realizza così un ostacolo alla realizzazione del sentimento di sicurezza. Nell’età
puberale, in cui tipicamente emerge la conflittualità autonomia/dipendenza dalla
struttura familiare, riaffiora la scissione tra soddisfazione orale gratificata e
bisogno di potere insoddisfatto. Il rifiuto del cibo e quindi l’anoressia mentale
rappresentano la negazione della soddisfazione alimentare incompatibile con il
soddisfacimento del sentimento di potere. In tale situazione si ha una svalutazione
della figura e del potere genitoriale, ma nello stesso tempo, per l’ambivalenza
tipica puberale, si conferisce loro un nuovo potere che ha un ruolo di primo piano
nel mantenimento della condizione patologica: la malattia della figlia
autorizzerebbe i genitori a preoccuparsi e occuparsi costantemente di lei. È
caratteristica la pervasiva sensazione di inadeguatezza e incapacità di queste
pazienti, per le quali l’innata necessità di potere e di autoaffermazione verrebbe
soddisfatta solo dal rigido controllo sul proprio aspetto emaciato.Le
teorie biologiche si basano sul fatto che spesso sintomi quali l’amenorrea e le
alterazioni della termoregolazione ipotalamica risultano precoci e indipendenti
dalla perdita di peso. Le alterazioni neuroendocrine sono rappresentate da una
ridotta risposta del TSH al TRH e del LH ai test di stimolazione, una riduzione
delle gonadotropine basali, una diminuzione del GH e del T3, secondarie in parte
alla perdita di peso, in parte alla restrizione calorica. Altre alterazioni sembrano
invece del tutto indipendenti da tali fattori, come l’aumento della cortisolemia
basale, una secrezione di LH di tipo prepuberale e un’ipotizzata riduzione della
noradrenalina nel liquor.Per quanto riguarda l’aspetto
neurotrasmettitoriale, è stato proposto un aumento dell’attività dopaminergica
(ridotto bisogno di cibo, perdita della libido, percezione delirante del proprio
corpo). Nelle anoressiche sottopeso è stata riscontrata una riduzione dell’attività
sia serotoninergica sia noradrenergica. A proposito di quest’ultima è stato
ipotizzato che la riduzione a lungo termine dei valori liquorali di noradrenalina
possa rappresentare un marker biologico di tratto.Spesso la sintomatologia
iniziale dell’anoressia viene misconosciuta o sottovalutata poiché viene presa in
considerazione solo di fronte a un’evidente perdita di peso. In realtà, già in fase
iniziale si possono notare comportamenti anomali, molto prima del dimagramento.
Infatti, tali pazienti, fino ad allora abbastanza normali e talora leggermente
sovrappeso tanto da iniziare una dieta dimagrante, cominciano a presentare disturbi
gastrici spesso come pretesto per giustificare una ridotta assunzione di cibo,
talora con vomito spontaneo e stipsi ostinata.Nella maggior parte dei casi,
cercano di aumentare il consumo energetico mediante un’iperattività generica.
Talvolta, compare inizialmente una condizione di euforia, di maggior estroversione,
rinforzate anche dall’ambiente, per cui la paziente si sente maggiormente accettata
e si fa più disinvolta nei rapporti interpersonali; solo successivamente, quando per
l’eccessivo dimagramento la paziente diventerà oggetto di critiche, comparirà una
tendenza all’isolamento sociale.Colpisce soprattutto l’assoluta e
irrazionale convinzione di essere grasse (pur con peso già al di sotto della media),
con necessità improrogabile di dimagrire ulteriormente. In tale periodo compare
anche l’amenorrea. Il cibo permesso è accuratamente scelto, di solito liquidi o
solidi a basso contenuto calorico, l’alimentazione diventa standardizzata e sovente
ritualizzata nella modalità di assunzione. A volte l’anoressica non siede affatto a
tavola, a volte partecipa al pasto con un comportamento che assomiglia molto a un
cerimoniale.Tale atteggiamento coinvolge tutti i familiari e l’eccesso di
insistenza nel spingerla a mangiare stimola un’ulteriore resistenza nella paziente,
creando così un circolo vizioso, che spesso porta l’anoressica non a diventare
consapevole dei propri disturbi, ma solamente a stigmatizzare il comportamento
invasivo dei familiari che viene vissuto come unica fonte dei suoi
malesseri.Il dimagrimento diventa quindi progressivamente visibile e viene
mantenuto con differenti strategie: dal rifiuto del cibo, al vomito procurato,
all’uso eccessivo di lassativi. Talvolta, le anoressiche possono avere crisi di tipo
bulimico, a cui spesso seguono vomito procurato e intensi sensi di
colpa.Caratteristica risulta l’estrema differenza tra il quadro di
deterioramento somatico e il quadro psichico: le pazienti, pur notevolmente
emaciate, sono vivaci, attive, spesso svolgono attività sportive (per diminuire
ulteriormente di peso). L’amenorrea è la regola: tuttavia, è importante ricordare
che, a differenza delle sindromi ipopituitarie, non c’è atrofia della ghiandola
mammaria e persistono i peli alle ascelle e al pube. A parte un’ovvia diminuzione
del metabolismo basale, di solito non si rilevano marcate alterazioni di tipo
biologico o endocrino.L’anoressia psicogena rappresenta certamente una
delle sindromi di maggior complessità sul piano terapeutico per l’assoluta mancanza
di insight e per la rigida negazione di malattia. In tal senso, le pazienti
rifiutano ostinatamente ogni approccio medico o assumono atteggiamenti manipolativi
o mostrano di collaborare solo apparentemente. D’altro canto, la gravità della
malattia e l’elevata mortalità impongono l’esigenza di intervenire il più
precocemente possibile.Il trattamento dovrà essere composito e
individualizzato e prevederà misure internistiche, cure mediche, psicofarmacologiche
e interventi psicoterapeutici, così da adattarsi alla gravità delle condizioni
generali, alla personalità e al set cognitivo e relazionale di ogni singolo
paziente.Il trattamento a breve termine, dopo un’accurata valutazione
internistica, è finalizzato all’immediata e tempestiva correzione delle complicanze
mediche, quali la disidratazione e gli squilibri elettrolitici. Parallelamente,
risulta di fondamentale importanza un approccio psicoterapico di tipo relazionale o
a impronta cognitiva. Una componente del trattamento, sempre necessaria, consiste
nel fornire una corretta educazione nutrizionale, nell’applicazione di tecniche
destinate a migliorare la capacità di socializzazione e nell’offrire tutto il
supporto necessario per un più facile reinserimento nell’ambito
familiare.