L’epilessia posttraumatica fornisce la migliore opportunità per esaminare il corso naturale dell’epilettogenesi, poiché il tempo dell’insulto focale può essere documentato più facilmente. Gli studi di Jennett sull’epilessia secondaria a traumi cranio-encefalici non bellici hanno fornito la prova della distinzione fisiopatologica tra crisi precoci (delle prime settimane successive all’evento traumatico) e crisi tardive. I fattori di rischio, e quindi i meccanismi, dei 2 tipi di crisi sono differenti (Tab. I). Il periodo latente tra il trauma e la prima crisi epilettica spontanea può variare da pochi mesi a più di 10 anni. È verosimile che fattori genetici influenzino lo sviluppo dell’e. tardiva, ma senza dubbio i dati più interessanti a livello sperimentale sono quelli concernenti i modelli di epilessia “da ferro”. In questi studi è stato dimostrato che l’iniezione intracorticale nel gatto, nel ratto e nella cavia, di sangue o di componenti del sangue (emoglobina, ferritina, cloruro di ferro) produce un focus epilettogeno cronico. L’aspetto istopatologico è caratterizzato da necrosi cavitaria, depauperamento neuronale, incrostazioni neuronali di ferro, reazione astrogliale, analogamente ai foci posttraumatici umani. Questi esperimenti possono fornire un modello per gli eventi successivi al trauma, ovvero quando il ferro peggiora ulteriormente il danno cerebrale, in parte catalizzando reazioni chimiche che producono e mettono in circolazione radicali liberi tossici. Altri meccanismi implicati sarebbero collegati all’inibizione dell’ATPasi e alla perossidazione delle lipoproteine delle membrane microsomiali.Il ferro o i componenti di ferro aggiunti a una soluzione acquosa, a sospensioni di tessuti o di acidi grassi polinsaturi (PUFA) causano la formazione di radicali liberi di ossigeno, radicali idrossilici, perossidi e ioni perferrilici. Questi agenti ossidanti altamente reattivi, che si ritiene siano formati da reazioni di Haber-Weiss catalizzate dal ferro, iniziano e propagano la perossidazione dei PUFA attraverso l’estrazione dell’idrogeno dai legami carbonilici, causando così la rottura delle membrane lipidiche di microsomi, mitocondri, lisosomi ed eritrociti.I prodotti della perossidazione non enzimatica catalizzata dal ferro causano anche una degradazione del deossiribosio e degli aminoacidi e rilascio di acido arachidonico, con formazione di prostaglandine, che danno luogo a coniugati dienici, il cromogeno malonaldeide (MDA reattivo all’acido 2-tiobarbiturico [TBA]), basi di Schiff fluorescenti e gas. Sebbene numerosi prodotti volatili e non volatili siano formati durante la perossidazione lipidica, la reazione con il TBA crea un complesso con i reattanti volatili e fornisce mezzi appropriati per una stima dell’avvenuta perossidazione lipidica.La vitamina E naturale (a-tocoferolo) previene il danno perossidativo dei lipidi e degli acidi grassi insaturi mediante reazioni dei gruppi idrossi-fenolici con i radicali propagati dall’estrazione dell’idrogeno carbonilico ossidativo. Il tocoferolo può anche fungere da “spazzino” di radicali liberi ed estintore di ossigeno nascente, agendo così da antiperossidante.Tabella I. Fattori di rischio per le crisi epilettiche e l’epilessia dopo il trauma cranico non da armi da guerraCrisi precociEmatoma intracranicoSegni neurologici focaliAmnesia posttraumatica >24 oreFrattura cranica depressaEmorragia subaracnoideaTrauma in età inferiore ai 5 anniFrattura cranica lineareCrisi tardiveEmatoma intracranicoCrisi precociFratture cranica depressaAmnesia posttraumatica >24 oreTrauma in età superiore ai 16 anniIl gruppo sulfidrilico del glutatione protegge anch’esso le membrane cellulari dalla perossidazione. La formazione intracellulare di perossido di idrogeno e radicali liberi è ridotta dal glutatione-perossidasi, in presenza del selenio come fattore metabolico e glutatione come cosubstrato. Così, la somministrazione di selenio e tocoferolo risulta in una protezione sinergistica delle membrane cellulari contro la perossidazione lipidica. In effetti, è stato dimostrato che questi due agenti, somministrati per 5 giorni prima della lesione epilettogena e per 6 settimane dopo ad animali (ratti) con epilessia da ferro, causano una netta riduzione dell’attività epilettica. Inoltre, da un punto di vista teorico, potrebbero essere condotti studi anche sull’impiego di chelanti del ferro e/o calcio antagonisti per bloccare i danni secondari da ferro.Infine, la riduzione di ossigeno comunemente produce radicali liberi di ossigeno (O2-), con conseguenti fenomeni di “pulizia” da parte di enzimi come la superossido-desmutasi (SOD). La SOD agisce extracellularmente per proteggere contro la perossidazione dei fosfolipidi cerebrali e può quindi, teoricamente, essere impiegata nella prevenzione del danno dei radicali liberi.Epilessia posttraumatica umana. La maggior parte dei traumatismi C.E. non giunge nemmeno all’attenzione medica. Meno del 25% dei casi sottoposti a visita comprende concussione, frattura cranica, emorragia intracerebrale o altri tipi di grave trauma cranico. Uno studio condotto a San Diego, in California, nel 1981 ha indicato una percentuale di 180 casi di trauma cranico cerebrale acuto per 100.000. La reale incidenza di epilessia posttraumatica in questi soggetti “a rischio” è molto dibattuta. I dati in letteratura sono spesso così discordanti che alcuni autori affermano che “vi sono tante approssimazioni dell’incidenza quanti sono gli investigatori”. Tuttavia, se cerchiamo di accumulare i dati degli studi più recenti, possiamo tentare di fornire qualche cifra più precisa.Di tutti i casi con trauma C.E. acuto, il 5% circa sviluppa crisi epilettiche “precoci” (entro 7 giorni) e un altro 5% crisi “tardive” (dopo 7 o più giorni). Nella maggior parte dei casi le crisi tardive sopraggiungono nel primo anno dopo il trauma (70-75%), con un rischio in diminuzione col passare del tempo (<5% annuale) nei 10 anni successivi.Più recenti studi epidemiologici statunitensi condotti su ampie casistiche di militari reduci dal Vietnam hanno indicato una percentuale totale di rischio di epilessia posttraumatica (da ferita d’arma da guerra) del 50%. È probabile quindi che il range del rischio epilettogeno vada da un minimo del 5% nella popolazione civile a un massimo del 35% in quella militare, essendo in questi casi spesso la ferita di tipo penetrante.La profilassi farmacologica dell’epilessia posttraumatica. La somministrazione profilattica di fenobarbital (PB) previene l’insorgenza dell’e. audiogenica nel ratto. In altri studi, sono riusciti a prevenire lo sviluppo di “mirror foci” in cavie con epilessia da gel di allumina mediante l’uso profilattico di PB. Nel 1975 Rapport e Ojemann hanno suggerito che la somministrazione profilattica di difenilidantoina (PHT) potesse prevenire la maturazione del focus epilettogeno nell’epilessia da cobalto.Alla luce dei primi lavori sperimentali del gruppo cecoslovacco di Servit (1960), il Ministro della Sanità di quel Paese ha stabilito nel 1968 un protocollo per il trattamento farmacologico obbligatorio dei traumi C.E. che comportassero: (1) penetrazione durale; (2) trauma chiuso con contusione cerebrale; (3) trauma cranico aperto con coma di durata di 3 o più ore.I farmaci suggeriti erano il PB o la PHT, a dosi subterapeutiche (30-80 mg/die per il primo e 150-200 mg/die per il secondo), per la durata di 2 anni.Osservazioni a lungo termine (8-13 anni) non hanno modificato le opinioni di questi autori cecoslovacchi, che ritengono valido questo trattamento profilattico. La ripetizione di questo studio da parte di altri autori ha fornito dati contrastanti. Inoltre, la principale critica è la mancanza di dati sui livelli plasmatici dei farmaci.Altrettanto contraddittori sono i risultati di Young et al. (1983) e Temkin et al. (1990), condotti su gravi traumatizzati C.E. trattati profilatticamente con PHT. Anche la carbamazepina e l’acido valproico potrebbero essere impiegati profilatticamente.