La magnetoencefalografia (MEG) è la registrazione di campi magnetici generati dalla corrente elettrica intraneuronale. La “regola della mano destra” dell’elettromagnetismo dice che i campi magnetici sono generati ad angoli dipoli perpendicolari alla direzione del flusso di corrente (Zimmerman 1983). Perciò, il segnale MEG, che è debolissimo, più debole del campo magnetico terrestre (Reeve et al. 1989), può essere interpretato come la controparte magnetica dell’EEG o dei potenziali evocati. La MEG, naturalmente, è complementare all’EEG e ha potenziali vantaggi localizzatori e migliore risoluzione di frequenza (Cuffin e Cohen 1979; Rose et al. 1987). Le alte frequenze hanno una scarsa risoluzione con gli elettrodi EEG di superficie (Pfurtscheller e Cooper 1975), ma possono essere meglio studiati con la MEG. Quest’ultima è migliore nel localizzare le fonti cerebrali profonde e può rilevare correnti tangenziali come quelle dei neuroni siti nei solchi, il cui orientamento assiale risulta parallelo allo scalpo (Reite et al. 1989). La recente disponibilità di sistemi biomagnetici a superconduttori hanno reso la MEG un test diagnostico più disponibile (Gallen et al. 1995), la cui pootenzialità clinica non è a oggi ben definita.Forse la maggior applicazione futura è nel rilevare l’origine neurale dei segnali EEGgrafici e dei potenziali evocati (Reeve et al. 1989; Reite et al. 1989). L’imaging magnetico, che combina la MEG con lo studio anatomico mediante RM, è stato usato per produrre mappe neuromagnetiche di potenziali evocati somatosensoriali e uditivi in soggetti sani (Gallen et al. 1993). L’imaging a fonte magnetica è stato utilizzato nella localizzazione di focolai epilettici in pazienti candidati a interventi neurochirurgici (Aung et al. 1995). Il principale svantaggio della MEG è che il magnetometro deve competere con un basso rapporto segnale-rumore, che impone l’uso di costose schermature per il rumore magnetico ambientale.

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