Disciplina che studia le caratteristiche psichiche della religiosità e che si occupa della realtà umana nella quale emerge una fede religiosa, della “religiosità” intesa come configurazione interiore, della “risposta” dell’uomo a tale evento, vagliando solo il lato soggettivo e quindi le diverse forme di esperienza, di interiorizzazione e di condotta del fenomeno religioso, astenendosi rigorosamente dalla valutazione della realtà effettiva. Sia la psicologia del profondo sia quella sperimentale si sono occupate della realtà religiosa, avvalendosi di metodologie e di modalità interpretative diverse.Psicologia sperimentale. Distingue tre tipi di approccio: (a) soggettivo, che analizza il fenomeno religioso non in termini di condotta, bensì come dimensione profonda o come orientamento dell’esistenza umana; (b) oggettivo, che si occupa della religione in termini di comportamento, distinguendolo da ciascun’altra condotta, specificandola in termini di manifestazioni osservabili e “spiegabili”; (c) genetico, che, secondo quanto asserito da J. Piaget (1966), considera l’evoluzione dell’evento religioso nel processo di crescita dell’individuo. Fanno inoltre parte di tale ambito gli studi condotti da R. Durkheim (1912) sulle connessioni tra la religiosità e taluni aspetti della realtà sociale e da W. James, che descrive le diverse forme della coscienza religiosa, proponendo una specie di tipologia dell’essere religioso valutato secondo l’ottica filosofica, psicologica e neuropsicologica: egli afferma che l’esperienza religiosa degli uomini non è certo univoca, ma diversificata e che, per uno psicologo, è essenziale comprendere che “le tendenze religiose dell’uomo sono tanto interessanti quanto ogni altro fatto che appartiene alla sua costituzione mentale”.Psicologia del profondo. In tale ambito si individuano essenzialmente lavori di S. Freud e di C.G. Jung che mostrano due interpretazioni diverse del fenomeno religioso. Uno dei primi approcci di S. Freud allo studio dell’evento religioso si realizza nell’ambito della psicopatologia, in cui egli afferma che è possibile rilevare analogie tra i comportamenti ossessivi e le pratiche religiose, in quanto in ambedue è possibile cogliere la ricerca di strategie difensive per proteggersi dalla colpevolezza e dall’ansia, nate dalla repressione di impulsi istintivi considerati proibiti: “In virtù di queste concordanze, ci si potrebbe arrischiare di concepire la nevrosi ossessiva un equivalente patologico della pratica religiosa, e a definire la nevrosi come religiosità individuale, la religione come una nevrosi ossessiva universale. La più essenziale concordanza risiederebbe nella rinunzia fondamentale all’esercizio di istinti dati costituzionalmente, la differenza più decisiva nella natura di questi istinti che, nella nevrosi, sono di origine esclusivamente sessuale e, nella religione, anche di natura egoica”. La religione “è un immenso potere che ha a sua disposizione le più forti emozioni degli uomini. Una volta essa comprendeva tutti i fatti spirituali che hanno una parte nella vita umana, che teneva il posto della scienza quando una scienza quasi non esisteva, e che ha creato una visione del mondo di incomparabile coerenza e organicità. (…) Si deve tenere presente ciò che tenta di offrire agli uomini: fornisce loro nozioni sulla provenienza e sulla genesi dell’universo, assicura protezione e felicità finale nelle alterne vicende della vita e guida i pensieri e le azioni con precetti che hanno la forza della sua grande autorità”. La religione ha inoltre per Freud una connotazione illusoria, finalizzata a colmare il senso di inferiorità infantile: “il desiderio ardente del padre coincide pertanto col bisogno di protezione contro le conseguenze della debolezza umana; la difesa contro l’insufficienza infantile si riflette, con i suoi caratteri, nel modo di reagire dell’adulto contro la propria fatale impotenza, si riflette cioè nella formazione della religione”.Opposta è l’impostazione teorica di Jung, in cui l’elemento religioso è essenziale: non vi è infatti alcuna sua opera in cui non si accenni in modo più o meno diretto a tematiche religiose. La religione “è l’espressione che definisce l’atteggiamento proprio di una coscienza la quale, attraverso l’esperienza del numinoso, ha subito un cambiamento”; è un atteggiamento diretto a ogni cosa che abbia colpito il soggetto in modo da indurlo all’adorazione, alla reverenza e all’amore; è un’acuta osservazione di alcuni “poteri”, quali dei, demoni, spiriti. Egli ritiene che la religione implichi una fusione di processi consci e inconsci aventi una propria autonomia, in cui il soggetto sembra uno spettatore inerte di “un’essenza o energia dinamica non originata da alcun atto arbitrario della volontà. Al contrario questa energia afferra e domina il soggetto umano, che ne è sempre vittima piuttosto che il creatore”. Jung sostiene che il numinoso corrisponde a un’immagine di Dio presente nell’individuo, con una tendenza archetipica a esprimersi e, nel momento in cui ciò avviene, acquisisce una forma riconoscibile. Il fenomeno religioso è quindi il rapporto vitale con le immagini che sgorgano dall’inconscio e che si elaborano nelle profondità psichiche: “La religione è una via di salvezza ‘rivelata’. Le sue vedute sono prodotti di un sapere preconscio che si esprime sempre e ovunque in simboli. Se anche la nostra ragione non li afferra, essi tuttavia agiscono perché il nostro inconscio li riconosce quali espressioni di fatti psichici universali. (…) Ogni ampliamento e rafforzamento della coscienza razionale allontana però dalla fonte dei simboli, e il suo prevalere ne impedisce la comprensione” (1942-1948). Jung afferma inoltre che “finché la religione è soltanto fede e forma esteriore, finché la funzione religiosa non è un’esperienza della propria anima non avviene nulla di fondamentale”.

Success message!
Warning message!
Error message!