Nel DSM-IV il termine indica un disturbo di personalità, ma da alcuni autori è attualmente utilizzato anche per indicare uno spettro (Meissner 1988) o un’organizzazione di personalità (Kernberg 1967).La nosografia kraepeliniana non utilizzava il termine borderline né comprendeva una categoria affine, pur essendo descritti quadri più o meno definiti, più tardi detti marginali, collocabili tra le forme attenuate di demenza precoce; anche Bleuler ha descritto quadri assimilabili al disturbo borderline e difficilmente interpretabili, in cui una disposizione schizofrenica latente incideva su forme morbose apparentemente nevrotiche. In ambito psicodinamico, è stato Stern a utilizzare il termine borderline per indicare pazienti apparentemente nevrotici che non miglioravano dopo il trattamento analitico e con aspetti strutturali particolari evidenziati nella regressione transferale. Negli anni Trenta e Quaranta, nella definizione di borderline si è cominciato a comprendere tutti quei quadri che sembravano situarsi tra la nevrosi e la psicosi, per alcuni rappresentando situazioni di evoluzione da un quadro all’altro. Hoch e Polatin hanno definito questo gruppo come schizofrenia pseudonevrotica, fornendo descrizioni sintomatologiche e accentuando la già esistente concezione di marginalità rispetto ai quadri schizofrenici. Knight ha fornito ulteriori contributi, ma il primo a delimitare i confini della sindrome e a distinguerla chiaramente dalla schizofrenia è stato Grinker nel 1968. Partendo da analisi statistiche, tale autore ha individuato 4 sottogruppi di pazienti, di cui il 1° e il 4° spostati rispettivamente verso il versante psicotico e nevrotico, il 2°, o nucleo della sindrome borderline, con affetti negativi e difficoltà nel mantenere relazioni interpersonali stabili, il 3°, o gruppo come-se, caratterizzato da perdita generalizzata di identità. Indipendentemente dal sottotipo, sono state individuate 4 caratteristiche chiave: (1) rabbia come affetto principale o esclusivo; (2) difettualità nelle relazioni interpersonali; (3) assenza di una consistente identità di sé; (4) depressione pervasiva.Focalizzando l’attenzione sempre su criteri diagnostici descrittivi, Gunderson e Singer (1975) hanno individuato una serie di caratteristiche fondamentali per la diagnosi, raggruppate nel 1990 per ordine di importanza: (1) pensiero quasi psicotico; (2) automutilazioni; (3) manipolatori tentativi di suicidio; (4) paure di essere abbandonati, fagocitati, annichiliti; (5) severità, indulgenza; (6) regressioni terapeutiche; (7) difficoltà controtransferali.In una prospettiva psicoanalitica, Kernberg (1975), utilizzando approcci forniti dalla psicologia dell’Io e dalla teoria delle relazioni oggettuali, ha coniato l’espressione organizzazione di personalità borderline, diagnosticabile solo dopo un’analisi strutturale in grado di identificare 4 caratteristiche chiave: (1) manifestazioni non specifiche di debolezza dell’Io (mancanza di tolleranza all’angoscia, mancanza di controllo degli impulsi, mancanza di canali sublimatori evoluti); (2) scivolamento verso processi di pensiero primario; (3) operazioni difensive specifiche (scissione, idealizzazione primitiva, forme primitive di proiezione, diniego, onnipotenza e svalutazione); (4) relazioni d’oggetto patologiche interiorizzate. Per Kernberg l’organizzazione di personalità borderline sarebbe sottostante a diversi disturbi di personalità, tra cui, ad esempio, il disturbo schizoide, il paranoide, l’antisociale e il narcisistico.Il disturbo borderline compare per la prima volta nel DSM-III, classificato come disturbo di personalità, e permane come tale anche nel DSM-IV, nonostante le considerazioni di diversi autori come Meissner, che preferisce parlare di spettro borderline, e come Adler e Rinsley, che parlano di un continuum borderline che avrebbe come punto più alto il disturbo di personalità narcisistico e come punto più basso il disturbo borderline così come descritto dal DSM-IV. I criteri del DSM-IV proposti per il disturbo borderline tengono conto delle caratteristiche descrittive individuate dai diversi autori e dell’analisi strutturale di Kernberg, pur risultando, per alcuni autori, criteri non specifici, senza sottotipizzazione e nessuna attenzione per l’aspetto sessuale. Secondo il DSM-IV, il disturbo borderline sarebbe caratterizzato da una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore, a una marcata impulsività comparsa nella prima età adulta e presente in vari contesti. Devono essere soddisfatti almeno 5 dei seguenti criteri: (1) tentativi esagitati di evitare un reale o immaginario abbandono; (2) modalità di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione; (3) disturbo dell’identità (l’immagine di sé o il senso di sé sono disturbati in maniera marcata e persistente, o instabile); (4) impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto, quali spendere, sesso, uso di sostanze, guida spericolata, abbuffate; (5) ricorrenti minacce, gesti o comportamenti suicidari, oppure comportamento automutilante; (6) instabilità affettiva caratterizzata da una marcata reattività dell’umore; (7) sentimenti cronici di vuoto; (8) collera immotivata e intensa o mancanza di controllo della collera; (9) gravi sintomi dissociativi o transitoria ideazione paranoide correlata a eventi stressanti.La prevalenza del disturbo borderline pare essere dell’1-2% nella popolazione, con un rapporto maschi:femmine pari a 1:2. Nei parenti di primo grado dei pazienti borderline con disturbo affettivo associato vi sarebbe una maggiore prevalenza di disturbi affettivi rispetto alla popolazione generale. Mentre in un primo momento, infatti, il disturbo borderline era considerato uno stato di marginalità rispetto alle psicosi,vari studi clinici hanno correlato tale forma ai disturbi affettivi, sebbene i pazienti borderline presentino caratteristiche depressive diverse dalla depressione maggiore; quando i quadri si sovrappongono sembrano essere indipendenti.Dal punto di vista neurofisiologico, i soggetti borderline presentano una riduzione nella latenza del sonno REM e un’aumentata attività dello stesso, come i pazienti affettivi con i quali condividono anche una ridotta risposta del TSH al TRH.Secondo Kernberg, il paziente borderline avrebbe superato la fase simbiotica descritta dalla Mahler, arrestandosi alla fase successiva della separazione-individuazione, con fissazione nella fase di riavvicinamento e mancanza della costanza dell’oggetto. Nella riedizione adulta, l’individuo sarebbe incapace di tollerare la solitudine e vivrebbe nel terrore dell’abbandono. Importante sarebbe un eccesso di aggressività costituzionale che, insieme o in alternativa a problematiche materne legate alla funzione genitoriale, sarebbe la causa della fissazione. L’aggressività impedirebbe l’integrazione delle immagini buone e cattive. Queste ultime, quando proiettate fuori, fanno sentire il paziente alla mercè di persecutori malvagi e se introiettate lo fanno percepire come deprecabile e privo di valore.Secondo Adler, una figura materna inconsistente o insufficiente sarebbe la causa dell’incapacità del paziente di sviluppare un oggetto interno contenente-confortante, che darebbe conto di numerosi aspetti del borderline, quali il senso di vuoto, le tendenze depressive, il panico da annichilimento per la frammentazione del sé e la rabbia orale cronica.Dal punto di vista terapeutico, l’approccio farmacologico utilizza gli inibitori del reuptake della serotonina (SSRI) , in particolare la fluoxetina, per il controllo dell’impulsività e dell’emotività e gli IMAO, che presenterebbero una maggiore efficacia rispetto ai triciclici, nel migliorare il tono dell’umore e controllare l’ansia e la collera. I pazienti con concomitanti caratteristiche schizotipiche traggono beneficio dai neurolettici, mentre le benzodiazepine sono utilizzate con cautela per il rischio di abuso. In alcuni casi, gli stabilizzatori del tono dell’umore, come la carbamazepina, possono migliorare il funzionamento globale.Dal punto di vista psicoterapeutico, l’approccio classico di autori come Knight e Friedman è eminentemente di tipo supportivo, viste la gravità e l’incapacità dei pazienti di mantenere un’alleanza terapeutica. Kernberg, invece, propone un approccio espressivo in cui il terapeuta lavora modificando i principi della psicoanalisi utilizzando l’interpretazione nell’hic et nunc della seduta, la chiarificazione e la confrontazione.

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