Consiste nella perdita o nell’alterazione del funzionamento fisico, come descritto dal DSM-IV, all’origine del quale vi sarebbe un conflitto o un bisogno psicologico. I sintomi fisici non possono essere obiettivati e sconosciuti risultano i meccanismi fisiopatologici alla base del disturbo. Il soggetto non è conscio del meccanismo psicologico causa del sintomo e non è in grado di operare un controllo sullo stesso. Se il sintomo principale è il dolore, deve essere posta diagnosi di disturbo da dolore somatoforme, ma non di disturbo di conversione.Il disturbo di conversione, insieme con il disturbo di somatizzazione, è stato in passato identificato nel termine isteria, che già Ippocrate definiva come una malattia tipica delle donne (da qui il termine di derivazione greca ustera = utero). Con Charcot, e successivamente Freud, si arriva a definire meglio il quadro clinico, con l’introduzione del termine conversione, fondato sul principio che elementi conflittuali sul piano psicologico si riflettono in espressioni patologiche somatiche: Freud definiva vantaggio primario la possibilità, da parte del soggetto, di alleviare il peso psicologico dei rimossi intrapsichici attraverso i sintomi di conversione. In accordo con questa teoria psicoanalitica, la conversione sarebbe causata dall’ansietà generata dal conflitto inconscio intrapsichico, ma altre teorie suggeriscono che il disturbo di conversione sia l’espressione di una comunicazione non verbale, quando quella verbale non sia possibile; inoltre, questi sintomi svolgono una funzione manipolativa non verbale sulle altre persone, che Freud identificava come vantaggio secondario del disturbo. Un quadro caratteristico, non sempre presente, è quello definito la belle indifférence, nel quale si assiste, da parte del paziente, a un particolare atteggiamento di incongrua indifferenza nei confronti della propria condizione sintomatologica.Nel DSM-IV il disturbo di conversione è inserito nel gruppo dei disturbi somatoformi e viene così differenziato dal disturbo da dolore psicogeno, in cui il sintomo principale è rappresentato dal dolore e dal disturbo di somatizzazione, caratterizzato a sua volta da un’ampia lista di sintomi fisici e da una maggiore tendenza alla cronicizzazione.È stato osservato che la presenza di gravi malattie predisporrebbe al disturbo di conversione: in questo caso, i sintomi possono rappresentare un’elaborazione secondaria o un’esagerazione della sintomatologia di base; in alcuni casi, il disturbo si manifesterebbe in relazione a gravi periodi di stress. Alcuni autori hanno evidenziato un coinvolgimento di meccanismi biologici e neuropsicologici: il disturbo di conversione sembra essere in relazione a un difetto di comunicazione tra i due emisferi, con un’eccessiva eccitazione corticale e conseguente feedback negativo dalla corteccia cerebrale sulla sostanza reticolare. L’inibizione corticale sugli impulsi afferenti, provenienti dalle vie sensitive e motorie, determinerebbe una riduzione della percezione del soggetto nei confronti delle sensazioni fisiche, oppure sarebbe responsabile della comparsa di alterazioni motorie. Test neuropsicologici eseguiti in questi pazienti hanno evidenziato, in alcuni casi, lievi alterazioni della memoria, della vigilanza e dell’attenzione. Circa un terzo della popolazione presenta nel corso della vita sintomi di conversione e l’incidenza è stata calcolata intorno allo 0,01-0,02%. Nel rapporto maschi-femmine è stata osservata una maggiore frequenza nel sesso femminile, con un rapporto di 5:1 rispetto a quello maschile; il disturbo esordisce più frequentemente in età giovanile. I sintomi di conversione più caratteristici suggeriscono una malattia neurologica: includono disturbi sensitivi, come anestesie e parestesie localizzate soprattutto agli arti, e disturbi della vista fino a cecità completa. Caratteristica di tali disturbi, motori o sensitivi, è l’incongruità della localizzazione rapportata alle reali aree di innervazione. I sintomi motori comprendono disturbi della deambulazione, che si accentuano quando l’attenzione si focalizza su di essi, paralisi parziali e complete mentre i riflessi appaiono normali, così come anche normale è il reperto elettromiografico; un sintomo particolarmente frequente in questi soggetti è il vomito psicogeno. Un quadro caratteristico del disturbo di conversione è la crisi simil-epilettica, difficilmente differenziabile da una crisi vera anche perché circa un terzo dei soggetti con disturbo di conversione soffre, contemporaneamente, di epilessia. Quasi sempre i sintomi di conversione hanno carattere di transitorietà e la prognosi è tanto migliore quando possono essere identificati fattori stressanti ben precisi, se l’esordio è acuto e se sono assenti altre patologie psichiatriche e non. Di conseguenza, il trattamento è spesso costituito dal non intervento, cercando di instaurare un rapporto di fiducia tra medico e paziente. In alcuni casi si rende necessario l’uso di psicofarmaci, ma solo nel controllo delle fasi acute; gli approcci psicodinamici comprendono terapie psicoanalitiche, terapie cognitive e di supporto.

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