Il concetto di infezione da virus lenti nasce dalle osservazioni, risalenti alla metà degli anni Cinquanta, sulla trasmissibilità di 2 encefalopatie croniche della pecora, il visna (in Irlanda) e lo scrapie (in Scozia), entrambe caratterizzate da un lungo periodo di incubazione seguito da un andamento protratto e inarrestabile.Allo stesso periodo risalgono le osservazioni di un’encefalopatia cronica letale della Nuova Guinea, denominata nel dialetto locale kuru, cioè “scossa”. Le similitudini anatomo-patologiche, epidemiologiche e cliniche fra scrapie e kuru hanno suggerito l’inoculazione di omogenati di cervelli di pazienti morti di kuru in scimpanzè per valutarne la trasmissibilità: in tali animali, la sintomatologia compariva nell’arco di pochi anni con un quadro anatomo-patologico analogo a quello del kuru umano. È risultata così spiegabile la maggiore incidenza della patologia fra le donne e i bambini indigeni della Nuova Guinea, a cui era riservato il cervello nel cannibalismo rituale. Da tali rilievi è stato ipotizzato come, in alcune virosi, l’ingresso del virus nella cellula nervosa possa determinare una patologia parenchimale di tipo degenerativo.Il concetto è stato in seguito esteso ad altre patologie degenerative di presunta genesi virale, quali la m. di Creutzfeldt-Jacob, la panencefalite sclerosante subacuta (PESS) e la leucoencefalite multifocale progressiva (LESS). Tale gruppo di encefaliti è accomunato da un’interazione lenta del virus con l’ospite: il periodo di incubazione risulta protratto e l’evoluzione lenta, accompagnandosi a caratteristiche istopatologiche di tipo degenerativo piuttosto che infiammatorio. Nell’uomo la patogenesi da virus lenti risulta attualmente riconosciuta per 2 encefalopatie spongiformi (il kuru e la m. di Creutzfeldt-Jakob), per la panencefalite sclerosante subacuta e per alcune leucopatie.