Descritta per la prima volta da Gilles de la Tourette nel 1885, è una malattia ereditaria, a probabile trasmissione autosomica dominante con penetranza variabile, caratterizzata da tic motori e vocali cronici, spesso associati a comportamenti ossessivo-compulsivi e a disturbi attenzionali.L’età di esordio è compresa tra 2 e 17 anni, ma per lo più si situa nella fanciullezza o nella prima adolescenza (età media 7-8 anni); l’evoluzione è fluttuante e cronica, solitamente con riduzione della frequenza e della gravità dei sintomi entro la prima età adulta; pur tuttavia, il disturbo dura tutta la vita, sebbene possano verificarsi periodi di remissione di settimane o anni. Sono stati descritti casi con totale scomparsa dei sintomi entro la prima età adulta.Clinica. Si caratterizza per la graduale insorgenza di tic motori semplici, inizialmente localizzati al volto e al collo (strizzamento degli occhi, smorfie facciali, scuotimento del capo da un lato all’altro), ai quali possono aggiungersi in seguito tic vocali semplici (emissione compulsiva di suoni inarticolati) e tic complessi, vocali e motori, quali ecolalia, palilalia, coprolalia, coproprassia, ecoprassia, toccare, accovacciarsi, inginocchiarsi, eseguire piroette durante la marcia, saltare sul posto e ipercinesie simil-coreiche e simil-miocloniche. La coprolalia, caratteristicamente associata al disturbo, può essere tra i primi sintomi: è, però, presente soltanto nel 10% dei soggetti e non è ritenuta dunque essenziale ai fini diagnostici.I tic possono essere talvolta soppressi dalla volontà e accentuati dalle emozioni; Gilles de la Tourette, nella sua descrizione originale, notava che anche la temperatura del corpo poteva influenzare la severità dei sintomi, risultando questi meno marcati durante episodi febbrili. Essi compaiono di solito in modo accessuale, più volte al giorno quasi ogni giorno. Manifestazioni e disturbi associati: comprendono più frequentemente ossessioni e compulsioni, iperattività, distraibilità (spesso precede l’esordio dei tic) e impulsività, raramente automutilazioni; concomitano spesso disagio sociale, vergogna e senso di umiliazione. Le persone colpite in maniera grave possono andare incontro a episodi depressivi maggiori. Il funzionamento sociale, scolastico e lavorativo può risultare compromesso per il rifiuto da parte degli altri o per l’ansia connessa al timore di andare soggetti a tic in situazioni sociali.L’esame obiettivo neurologico e il quoziente intellettivo risultano solitamente nella norma; tuttavia, studi selettivi delle funzioni cognitive hanno indicato spesso una non perfetta integrazione visuo-spaziale, permettendo quindi di ipotizzare una disfunzione a carico dell’emisfero destro.L’elettroencefalografia ha evidenziato anomalie aspecifiche nel 30-55% dei casi durante la registrazione in veglia, mentre è stata osservata una disorganizzazione dell’architettura del sonno, con incremento delle fasi III e IV e notevole riduzione della quota REM, associata a un aumento dei risvegli notturni. Sono state evidenziate anomalie aspecifiche alla TC dell’encefalo nel 10% dei casi.Il DSM-IV ha incluso la sindrome nei disturbi da tic e ne ha stabilito i criteri diagnostici nel seguente modo: (1) esordio prima dei 18 anni; (2) presenza di tic motori multipli e di uno o più tic vocali; (3) durata dei sintomi >1 anno, con possibile periodo asintomatico non più lungo di 3 mesi; (4) significativa compromissione del funzionamento del soggetto; (5) primitività del disturbo, non dovuto dunque a condizione medica generale o all’effetto di una sostanza.Epidemiologia. La prevalenza del disturbo è stimata intorno allo 0,05%; è 1,5-3 volte più frequente nel sesso maschile. Il rischio familiare è più elevato nei parenti di primo grado rispetto alla popolazione generale e ciò vale soprattutto per i figli di madri affette. Studi condotti su coppie di gemelli omozigoti hanno rilevato una concordanza del 53%, contro l’8% per i dizigoti. Esistono dimostrazioni a favore di un’associazione genetica tra la sindrome e il disturbo ossessivo-compulsivo e forse con il disturbo da deficit di attenzione e iperattività. Nel 10% circa degli affetti non risulta però una familiarità evidente.Eziopatogenesi. È ancora a tutt’oggi in parte oscura, anche se diversi aspetti neurologici, neuropsicologici e clinici hanno indotto a ipotizzare un’eziologia organica, contrariamente alle ormai superate ipotesi eziologiche psicodinamiche, che interpretavano la sindrome come espressione di conflitti inconsci e di aggressività repressa. Esiste attualmente un generale consenso sulla familiarità della sindrome, come comprovato da numerosi studi epidemiologici; la “vulnerabilità” al disturbo (intesa come base genetica e costituzionale per lo sviluppo di un disturbo da tic) verrebbe trasmessa secondo una modalità autosomica dominante: la penetranza del gene nelle portatrici di sesso femminile sarebbe del 70% circa, mentre nel sesso maschile del 99%. La diversa espressione fenotipica del gene giustificherebbe la concomitante presenza, in aggregati familiari, di soggetti affetti non solo dalla sindrome in questione, ma anche da disturbo con deficit di attenzione e iperattività, disturbo ossessivo-compulsivo e altri disturbi da tic.Da molti anni, l’indagine eziopatogenetica della malattia si è rivolta alle possibili alterazioni a livello del corpo striato e del sistema limbico; esami autoptici hanno messo in evidenza riduzione di volume a carico dello striato, soprattutto del pallido, mentre studi in PET avrebbero evidenziato ipofunzionalità neuronale in alcune aree striatali e corticolimbiche.Studi clinici e farmacologici hanno suggerito che le alterazioni geniche potrebbero tradursi in una disfunzione a carico del sistema dopaminergico centrale, nei gangli della base e nel tronco: una supersensitivizzazione dei recettori sinaptici (in particolare i D2) o una loro eccessiva stimolazione sarebbe così responsabile delle manifestazioni ticcose: tale ipotesi sarebbe indirettamente comprovata dal miglioramento clinico in seguito a somministrazione di aloperidolo e di altri farmaci bloccanti i recettori D2 e dall’aggravamento ottenuto con la somministrazione di levodopa, amfetaminici e di altri dopamino-agonisti . Altre osservazioni sperimentali a conferma di tale ipotesi sono i ridotti livelli di acido omovanillico, principale metabolita della dopamina, nel liquor cerebrospinale, così come l’insorgenza tardiva di tic in pazienti trattati cronicamente con neurolettici. Recentemente, l’attenzione si è focalizzata sul possibile ruolo svolto dagli oppioidi endogeni, la cui funzione è modulare i neuroni dopaminergici.Terapia. I trattamenti farmacologici sono i più efficaci, mentre la psicoterapia, inefficace come trattamento primario, può aiutare il paziente a convivere con il disturbo, mentre dubbi e limitati sono i benefici ottenuti con la chirurgia (cingolotomia anteriore, criotalamectomia). Il farmaco più usato è l’aloperidolo (0,25-5 mg/die), che produce un relativo miglioramento nel 70% dei soggetti. In alternativa, sono risultati utili altri neurolettici come la pimozide (1-7 mg/die), meglio tollerata per il minor effetto sedativo, e la sulpiride (200-500 mg/die). Valide alternative sono rappresentate dalla clonidina (alla dose media di 0,25 mg, il cui meccanismo sarebbe imputabile a un’azione di tipo a-adrenergico sull’autorecettore pre-sinaptico dei neuroni del locus coeruleus: agirebbe riducendo l’irritabilità, le compulsioni e i sintomi motori e fonici), dalla lisuride e dalla clomipramina, che si è rivelata di discreto beneficio terapeutico in un relativo numero di casi. Infine, la cronica somministrazione di selegilina, inibitore selettivo della monoaminossidasi B, può migliorare sia i tic sia l’iperattività motoria, attraverso la desensibilizzazione dei recettori dopaminergici.