Consiste nell’inserzione di uno o più
aghi metallici, solitamente in bronzo, nella cute e nei tessuti sottostanti, in
precisi punti del corpo. Questa antica tecnica della medicina cinese, applicata nel
trattamento sintomatico del dolore, nella terapia di alcune malattie e nel
migliorare lo stato di salute in generale, è stata applicata in Cina fin dal 2500
a.C. e solo nella seconda metà del XX secolo ha conosciuto una diffusione nel mondo
Occidentale.Alla base della medicina cinese, fondata secondo la leggenda
dall’imperatore Huang Ti nel terzo millennio a.C., è posta la teoria dualistica
cosmica dello yin e yang. Yang, il principio maschile, è
attivo, luminoso e rappresentato dal cielo, mentre yin, il principio
femminile, è passivo, oscuro e associato alla terra. Questi due principi, nel corpo
umano, regolano il flusso della forza vitale, denominato ch’i, lungo 12
canali principali, o meridiani; un’alterazione o uno squilibrio dei due
principi cosmici fondamentali determinerebbe un’ostruzione del flusso vitale e
sarebbe alla base della disarmonia fisica o della malattia. Ogni meridiano è
associato a un organo (che può immagazzinare, ma non eliminare, ad esempio cuore,
fegato e polmoni), o a un viscere (che può eliminare, ma non immagazzinare, ad
esempio stomaco e intestino) e a un sistema funzionale principale. L’agopuntura ha
l’obiettivo di modificare la distribuzione di yin e yang nei meridiani
e permettere quindi allo ch’i di scorrervi liberamente e
armoniosamente.L’attuale pratica dell’agopuntura consiste nell’inserzione
di aghi, lunghi dai 3 ai 24 centimetri, con terminazione lanceolata o coniforme, in
centinaia di punti disposti lungo i meridiani. L’inserzione tipica varia tra i 3 e i
10 millimetri, potendo peraltro raggiungere i 20 centimetri; successivamente
all’infissione, gli aghi devono essere agitati o ruotati verso destra o verso
sinistra, oppure connessi a sorgenti elettriche di basso voltaggio a corrente
alternata. Il punto di applicazione, regolato da speciali diagrammi e modelli (uno
dei quali, in bronzo, dell’860 a.C.), può risultare a considerevole distanza dal
punto di effetto (ad es., ci si attende che un ago inserito nel polpastrello del
pollice determini analgesia a livello addominale). Inoltre, punti successivi di uno
stesso meridiano possono modificare aree o condizioni estremamente differenti tra
loro; ad esempio, i primi 6 punti del meridiano relativo allo yin dei polmoni
trattano il gonfiore delle articolazioni, l’eccessivo calore delle articolazioni,
emorragie nasali, dolore cardiaco, sintomi depressivi e l’impossibilità a estendere
le braccia sopra la testa.La pratica dell’agopuntura viene frequentemente
associata a quella della moxibustione, consistente nel bruciare, negli stessi
punti impiegati nell’agopuntura, piccoli coni di foglie secche compresse di vegetali
dotati di proprietà terapeutiche (solitamente Artemisia moxa, da cui il nome, o
Artemisia mgusa, in Giappone). Nella pratica moderna il fitoterapico, tritato e
avvolto in una carta speciale, viene acceso e posto sopra il punto che deve essere
riscaldato o appoggiato direttamente sulla cute e asportato prima che possa
determinare ustioni; in Giappone vengono a tal scopo impiegati tubetti con
un’impugnatura, che permette al terapista di controllare la
temperatura.L’agopuntura sembra essere efficace particolarmente nel ridurre
la percezione algica e viene impiegata routinariamente, in Cina, a fini anestetici
in corso di interventi chirurgici e con finalità terapeutiche.Mentre le
asserzioni che pongono l’agopuntura su un piano terapeutico debbono ottenere ancora
sostegno da chiare dimostrazioni sperimentali, di maggior attendibilità sembrano le
prove relative all’effetto antalgico, che numerose teorie hanno cercato di spiegare
in termini psicologici e neurofisiologici. Se a livello eziopatogenetico è
sicuramente implicato un effetto placebo, che comunque non ne diminuisce la reale
efficacia, sembra che l’infissione degli aghi, elicitando una risposta algica
localizzata e acuta, sia da un lato in grado di regolare la produzione di oppioidi endogeni (endorfine
ed enkefaline) e dall’altro di bloccare la trasmissione algica attraverso
l’inibizione discendente dei neuroni mediatori della conduzione algica a livello
spinale e del tronco encefalico.

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