Tale termine indica una protrusione del bulbo oculare che viene quantificata con precisione utilizzando l’esoftalmometro. Tale misurazione consiste nel valutare la distanza tra il bordo orbitario esterno e la tangente orizzontale che passa per il bordo corneale (in caso di protrusione tale distanza è compresa tra 25-30 e 35 mm). L’ambito di normalità di tale distanza è compreso tra 12 e 15 mm; quando si riscontra un valore compreso tra 2 e 9 mm si deve parlare di enoftalmo. Tale condizione si associa a una modesta ptosi della palpebra superiore e a un restringimento della rima palpebrale e la sua entità può o meno variare nel tempo (enoftalmo costante o variabile).L’esoftalmo può essere diretto (semplice protrusione del bulbo) o indiretto e riducibile o irriducibile, a seconda che si riesca o meno a ripristinare la condizione normale con la palpazione (sono, ad esempio, esoftalmi di tipo riducibile quelli che si osservano nel m. di Basedow o nelle neoformazioni vascolari retrobulbari). Nella maggior parte dei casi l’esoftalmo è invece irriducibile. Può associarsi a diplopia nel caso di compressione dei fasci di innervazione della muscolatura oculare; quando, invece, si riscontra anche un’alterazione del campo visivo si deve pensare a una sofferenza del nervo ottico.All’esame oftalmoscopico può essere rilevata un’alterazione della papilla (edema papillare, atrofia ottica), la modificazione del decorso o dell’aspetto dei vasi retinici o, eventualmente, la presenza di emorragie retiniche. La diagnosi differenziale si può imporre nei confronti di quadri capaci di mimare un vero e proprio esoftalmo, quali la miopia, l’idroftalmo, il lagoftalmo o tutte quelle circostanze in cui si verifica una retrazione cicatriziale delle palpebre (ustioni, ferite lacero-contuse).

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