(ingl. envy; ted. Neid; fr. envie)Sentimento di ostilità e astio rivolto verso il possessore di un qualcosa di desiderato, di cui il soggetto non ha il possesso, del quale l’approccio psicoanalitico, seppur con taglio diverso, di Sigmund Freud e di Melanie Klein si è ampiamente occupato.L’invidia del pene. Dalla scoperta della differenza anatomica tra i sessi, Freud ritiene nasca nella bambina la sensazione di essere stata fortemente danneggiata e quindi l’invidia del pene, i cui effetti sono individuabili nello sviluppo e nella formazione del suo carattere, superabili solo a prezzo di un importante “dispendio energetico”. Dal complesso di evirazione, non solo del maschio, ma anche della bambina che nella fase pre-edipica “ritiene la madre responsabile della sua mancanza del pene e non le perdona questo svantaggio” (1932), “si dipartono tre indirizzi di sviluppo: uno porta all’inibizione sessuale o alla nevrosi; il secondo a un cambiamento del carattere nel senso di un complesso di mascolinità; l’ultimo, infine, alla femminilità normale” (1932). “Il complesso di evirazione prepara il complesso edipico (vedi
Edipo, complesso di), invece di danneggiarlo; sotto l’influsso dell’invidia del pene, la bambina viene distolta dall’attaccamento alla madre e si precipita nella situazione edipica come in un rifugio”: l’invidia del pene viene infatti trasferita sul padre e si palesa come desiderio di avere un pene dentro di sé, rappresentante il desiderio di avere un bambino, oppure di godere del pene durante il coito, con l’emergere della passività a scapito della sessualità fallica (masturbazione clitoridea). Abraham dedica il suo lavoro Forme di manifestazioni del complesso femminile di evirazione (1920) al tema dell’invidia del pene e delle sue conseguenze sullo sviluppo della sessualità femminile. Pur aderendo alla rigida linea freudiana, Abraham tratta dello spostamento dell’invidia dal pene paterno, da cui la figlia spera di avere un bambino, alla madre, effetto dei bambini da essa posseduti.Invidia e gratitudine. Nella fase conclusiva del suo pensiero (1957), la Klein si occupa del concetto di invidia, inteso come un sentimento primario fondamentalmente connesso ai primi momenti di vita del lattante. “È un sentimento di rabbia perché un’altra persona possiede qualcosa che desideriamo e ne gode… l’invidia cerca non solo di derubare in questo modo la madre, ma anche di mettere ciò che è cattivo, e soprattutto i cattivi escrementi e le parti cattive del Sé, nella madre… allo scopo di danneggiarla e distruggerla” (1957). L’invidia primaria si fonda sull’idea di un’aggressività costituzionale, che comporta un attacco fantasmatico diretto verso l’oggetto buono (vedi
Kleiniana, teoria), che viene distrutto per la sua bontà – una caratteristica dell’invidia è proprio quella di distruggere le cose buone oltre la creatività – ma fondamentalmente per lo sberleffo di non poter essere autonomi e onnipotenti in un attimo di necessità: il lattante sa che esiste un qualcosa capace di dare aiuto, ma che non è immediatamente fruibile al bisogno e che quindi viene depredato di quanto ha di buono dall’attacco invidioso. Hanna Segal (1964) constata che l’invidia è volta ad attaccare la fonte di vita nel corpo della madre, ossia la causa dei sentimenti invidiosi, e che può perciò essere considerata la prima estrinsecazione della pulsione di morte: “È questo aspetto devastante dell’invidia che è tanto lesivo per lo sviluppo, perché proprio la sorgente di tutto ciò che è buono, dalla quale il bambino dipende, è resa cattiva, così che non è possibile compiere introiezioni buone. L’invidia, sebbene sorga da primitivo amore e ammirazione, ha una componente libidica meno forte della bramosia ed è soffusa di istinto di morte” (1964). Bion apporta con il suo saggio Attacchi al legame (1959) una modificazione nel modo di considerare l’invidia, causa di importanti cambiamenti nella pratica clinica: la pulsione di morte non è più diretta all’oggetto, ma attraverso il suo tramite l’attacco invidioso colpisce il legame, il senso della relazione, la sua realtà, distrugge la funzione alfa e con essa la capacità di pensare.Vedi anche
Edipo, complesso di, Funzione, Kleiniana, teoria.