(ingl. consciousness, ted. Bewusstein)Vedi anche
Coscienza, stato di.In termini operativi, la coscienza può definirsi un processo psicofisiologico complesso, che si manifesta con la consapevolezza che ha un individuo della propria identità, del proprio passato e della propria situazione percettiva ed emozionale.Le varie discipline nell’ambito delle quali è stato trattato tale concetto hanno, di volta in volta, posto l’accento sugli aspetti soggettivi, comportamentali o neurofisiologici. Il termine è stato introdotto in epoca moderna da Leibnitz, il quale ha separato i contenuti psichici avvertiti coscientemente (aperception) dai contenuti preconsci (petite perception, somma di stimoli subliminali), delineando la coscienza come fenomeno qualitativo della psiche, suscettibile di sperimentazione psicofisica.Wernicke ha tentato di definire la coscienza come “organo” della corteccia cerebrale, vera e propria entità fisiologica; tuttavia, in ambito neurofisiologico, solo lo sviluppo dell’elettroencefalografia e lo studio delle funzioni del sistema reticolare hanno condotto a far coincidere lo stato di veglia, caratterizzato da precisi parametri fisiologici, con la coscienza.Da tale punto di vista, la struttura della coscienza si caratterizza attraversoazioni e contemporanee inibizioni dei vari sistemi neuronali (rilevabili nel fenomeno della desincronizzazione all’elettroencefalogramma), l’attivazione di circuiti periferici sensoriali e centrali che sfociano nell’atto percettivo cosciente;l’attivazione delle zone corticali che conservano la traccia degli avvenimenti passati;l’attivazione delle zone encefaliche che assicurano la presenza di uno schema corporeo a cui attribuire le percezioni in atto (acquisizione di un Io);l’integrazione dell’attività di analisi percettiva, a livello corticale, in schemi ideoverbali che approdano nel linguaggio.Il continuum di attivazione che caratterizza lo stato di coscienza può dunque essere studiato sia sulla base delle strutture anatomiche che fungono da mediatori, sia da misure fisiologiche, come il già citato elettroencefalogramma o i potenziali evocati, quanto attraverso indici comportamentali che correlano i livelli di attivazione con le prestazioni nei compiti di vigilanza, attenzione e memoria.Altro punto di vista fondamentale è quello della fenomenologia, che considera la coscienza come un atto caratterizzato dalla sua intenzionalità diretta alle cose. Interviene, dunque, una negazione della coscienza come entità, o campo interiore: essa viene ribadita come un originario fuori-di-sé, una trascendenza attiva, contatto simultaneo con l’essere del singolo e l’essere del mondo (Husserl 1913; Merleau-Ponty 1945). Secondo Jasper (1933) l’essenza della coscienza è nell’essere diretta intenzionalmente agli oggetti: essa tuttavia riflette anche su di sé, ponendosi come autocoscienza (l’io penso e l’io penso che penso).L’incontro tra l’esperienza di coscienza vissuta e descritta a livello fenomenologico con le nozioni fisiologiche consente, in sede clinica, un migliore inquadramento dei disturbi della coscienza, rendendo possibile il confronto tra la descrizione soggettiva e l’osservazione oggettiva del clinico. È stato a tal fine ripreso, in particolar modo dallo psichiatra H. Ey (1979), il concetto di campo di coscienza. Lo strutturarsi del campo avviene, secondo Ey, in base allo stato di veglia, con particolare attenzione alla funzione della vigilanza che indica lo stato di coscienza ottimale per l’esecuzione di compiti determinati, grazie alla messa in funzione di specifici meccanismi di ritenzione e selezione degli stimoli che poi, attraverso l’attenzione, vengono immagazzinati dalla memoria. Lo stato di vigilanza è in stretto rapporto con i processi facilitanti e inibenti interposti fra il tronco cerebrale e la corteccia. Trattandosi di una funzione fisiologica, la vigilanza può subire modificazioni per effetto della fatica e della prostrazione fisica, o a causa di lesioni focali o diffuse nel cervello. In riferimento alla vigilanza si parla anche di ampiezza o di restringimento del campo di coscienza, nel senso che una vigilanza rivolta in modo intenso ed esclusivo a un oggetto funge da schermo per tutti gli altri stimoli ambientali che possono disturbarla o deviarla. In tal caso, si parla di restringimento del campo di coscienza. Quando invece la vigilanza è fluttuante e distesa, senza una particolare concentrazione, ne deriva una maggiore ampiezza del campo di coscienza, che, in condizioni normali, ha contemporaneamente presenti dalle 5 alle 8 unità di contenuto.I disturbi della coscienza influiscono, in generale, sulla consapevolezza di sé e sull’attenzione all’ambiente e sulle strutture fondamentali della vita psichica: questo può avvenire con diversi livelli di gravità. Uno stato di torpore della coscienza può essere caratterizzato da una diminuzione della vigilanza, con contemporanea perdita di differenziazione nel campo di coscienza. È presente un rallentamento ideomotorio, unitamente a difficoltà di concentrazione, memoria, disorientamento spazio-temporale. Lo stato crepuscolare è caratterizzato da un restringimento del campo di coscienza con interruzione dei rapporti con l’ambiente: vengono mantenute azioni particolari, abituali, o gesti meccanici. Il comportamento può risultare passivo o agitato, o ancora coerente con le linee o le fantasie a cui si è ridotto il campo coscienziale. Tale stato è caratterizzato da un’insorgenza improvvisa, solitamente è di breve durata e di rapida scomparsa, seguito da sonno e, sovente, da amnesia totale rispetto all’episodio. Una più grave destrutturazione della coscienza è rappresentata dallo stato confusionale: il soggetto non appare più in grado di organizzare le esperienze percettive in un insieme coerente. Viene a mancare la distinzione Io/mondo esterno e risulta ridotta la memoria e pressoché assenti le capacità critiche e di giudizio. Possono comparire stati oniroidi, sino ad arrivare a una completa incoerenza delirante. Infine, il coma è una condizione di perdita totale della coscienza e dell’attività volontaria: esso si caratterizza come il livello minimo di attivazione dell’organismo e può essere provocato da cause endocraniche (emorragia cerebrale, trombosi, tumori, epilessia) o extracraniche (diabete, ipoglicemia, intossicazioni). Si distinguono uno stato di precoma, dove la percettività e la reattività sono in parte conservate soprattutto per la sensibilità dolorifica, di coma, simile al sonno, e di coma profondo, che richiede l’intervento di metodiche di rianimazione che si possono praticare finché l’elettroencefalogramma non mostra il tracciato lineare che segna la morte del cervello.Benché la teoria psicoanalitica sia partita dal concetto che lo psichico non sia riducibile alla sola coscienza, tuttavia in essa la coscienza assume una fondamentale importanza quale campo solcato da forze psichiche. Secondo la teoria metapsicologica di Freud, la coscienza sarebbe una funzione del sistema percezione-coscienza. Egli assimila la coscienza alla percezione e considera come essenza di quest’ultima la capacità di ricevere le qualità sensibili: in seguito, amplierà tale concetto includendo la coscienza dei fenomeni psichici. La coscienza dunque percepisce gli stati di tensione pulsionale e le scariche delle eccitazioni, sotto forma di qualità di dispiacere-piacere. Dal punto di vista funzionale, il sistema percezione-coscienza si oppone ai sistemi di tracce mnesiche, cioè all’inconscio e al preconscio: su di esso non viene registrata alcuna traccia durevole delle eccitazioni. Freud formula inoltre l’ipotesi che la coscienza sia dotata di un’energia mobile (energia dell’attenzione), in grado di operare investimenti su elementi esterni. La coscienza svolge un ruolo fondamentale nella dinamica del conflitto, cioè all’evitamento cosciente di ciò che è sgradevole, nonché nella regolazione del principio del piacere. Freud, comunque, evita di identificare la coscienza con l’Io, limitandosi a stabilire un semplice legame di appartenenza della coscienza all’Io.