Rara polioencefalomielopatia a decorso subacuto, riconducibile all’azione di un agente trasmissibile proteico (proteina prionica o prione) (vedi
Prioni, malattie da), clinicamente caratterizzata da un quadro demenziale rapidamente evolutivo, al quale di norma si associano atassia cerebellare, mioclonie e periodismi elettroencefalografici caratteristici. La malattia è ubiquitaria, colpisce soggetti di entrambi i sessi in età generalmente compresa tra 40 e 60 anni, presenta un’incidenza stimata di 0,5-2 casi per milione di persone per anno senza differenze stagionali. Nel 6-15% dei casi vi è familiarità positiva, a volte con modalità di trasmissione di tipo autosomico dominante.L’esordio della sintomatologia è di solito insidioso: in poche settimane o mesi possono manifestarsi sintomi piuttosto aspecifici, quali alterazioni del comportamento e dell’umore con tendenza alla depressione, astenia e calo ponderale secondario a inappetenza e atassia cerebellare. Successivamente, possono comparire idee deliranti, allucinazioni, deficit di acuità visiva, importanti deficit fasici e, in alcuni casi, stato confusionale. Dopo poche settimane diviene evidente il deterioramento mentale e nell’80% dei casi compaiono mioclonie inizialmente segmentali e quindi generalizzate, spontanee o in risposta a stimolazione sensoriale soprattutto uditiva. La successiva inesorabile evoluzione è verso uno stato stuporoso e il coma, con esito fatale entro 1 anno dall’esordio nel 90% dei casi.L’associazione dei vari sintomi fra loro ha permesso di identificare 4 forme cliniche di presentazione della malattia: (a) forma extrapiramidale-cerebellare: al quadro demenziale e alle mioclonie si associano disturbi di tipo extrapiramidale (amimia, atteggiamento camptocormico, tremore a riposo) e cerebellare (atassia, disartria, dismetria); talora compaiono crisi epilettiche; (b) forma spastico-rigida: il deterioramento psichico rapidamente ingravescente si accompagna a spasticità, deficit fasici, mioclonie, talora crisi epilettiche fino a un quadro finale di mutismo acinetico; (c) forma ottico-parieto-occipitale di Heidenhain: la fase iniziale è caratterizzata da alterazioni della percezione dei colori, fotofobia, agnosia visiva che progrediscono rapidamente verso le cecità corticale. Si associano successivamente la demenza e gli altri sintomi, talora con mioclonie e crisi epilettiche; (d) forma spinale: atrofie muscolari talora con fascicolazioni, segni piramidali e cerebellari precedono il quadro demenziale. La forma a rapido decorso è detta anche malattia di Jones-Nevin.Il quadro elettroencefalografico è caratterizzato fin dalle prime fasi della malattia dalla comparsa di onde lente polimorfe, soprattutto nelle regioni parietali e posteriori, che tendono successivamente ad assumere un andamento periodico con intervalli dapprima più brevi e poi più lunghi. Nel periodo di stato, l’aspetto elettroencefalografico è caratteristico: su un ritmo di fondo sempre più disorganizzato si inscrive un’attività parossistica periodica di onde lente bifasiche o trifasiche di alto voltaggio (oltre i 100 µV), di breve durata (<250 msec), che si ripetono con una frequenza di 1-2 c/sec circa, generalmente simmetriche di tutte le deviazioni, a volte sincrone con le mioclonie. Tale reperto è presente nell’80% circa dei pazienti, ma non può essere considerato patognomonico della malattia. In fase tardiva, i periodismi tendono a scomparire e vengono sostituiti da un’attività disorganizzata di ampiezza minima, su cui occasionalmente, e con livelli sempre più lunghi, compaiono brevi sequenze di onde lente. Nelle forme familiari di malattia sorprendentemente le anomalie parossistiche sono di raro riscontro.Gli esami ematochimici e liquorali non mostrano alterazioni significative, mentre l’esame TC o RM cranico può evidenziare un’atrofia corticale con dilatazione ventricolare associata in particolare ad atrofia cerebellare.A causa del rapido decorso della malattia, l’esame anatomopatologico dell’encefalo può non mostrare alterazioni macroscopiche. Nei casi a decorso protratto diventano evidenti la diffusa cerebrale e un’importante atrofia cerebellare. Il reperto anatomopatologico microscopico caratteristico consiste nel cosiddetto stato spongioso della sostanza grigia, presente diffusamente, ma con qualche predilezione per il giro del cingolo, la corteccia temporale mediale (tutti gli strati), il talamo e lo strato molecolare del cervelletto. I gangli della base e le corna anteriori del midollo spinale possono essere interessati in alcuni casi. L’aspetto spongioso del tessuto affetto è dovuto alla presenza, nel citoplasma neuronale e nei dendriti, oltre che negli astrociti, di vacuoli. Tali vacuoli possono presentare dimensioni di pochi micrometri, ma possono successivamente unirsi a formare vacuoli di dimensioni maggiori. Per cause ancora ignote, successivamente il neurone degenera. Sono assenti aspetti istopatologici di reazione infiammatoria, mentre fin dall’inizio la rarefazione neuronale è accompagnata da intensa proliferazione astrogliale reattiva, soprattutto a livello della sostanza grigia profonda. Nel 10% dei casi sono presenti placche simil-amiloidi analoghe a quelle riscontrate in altre malattie prioniche (ad es., Kuru) , caratterizzate da una parte centrale omogenea circondata da un alone di fibrille a disposizione radiale. Tali strutture reagiscono contro anticorpi contro la proteina prionica.Per la definizione diagnostica della MCJ sono stati proposti i seguenti criteri: (a) m. di Creutzfeldt-Jakob “definita” quando sono presenti demenza subacuta + segni neurologici + caratteristico pattern elettroencefalografico + encefalopatia spongiforme verificata istologicamente; (b) m. di Creutzfeldt-Jakob “probabile” quando sono presenti gli elementi clinico-strumentali citati nella forma precedente, ma non si ha la verifica anatomopatologica; (c) m. di Creutzfeldt-Jakob “possibile” quando la demenza progressiva è riscontrata in un paziente che ha un membro della famiglia affetto da MCJ definita o probabile.Ormai accertata è la trasmissibilità della malattia in alcuni animali (topo, ratto, criceto, scimpanzè) mediante inoculazione intracerebrale di sospensioni di cervello di pazienti affetti, con un periodo di incubazione che può anche essere di alcuni anni. È stato descritto il contagio interumano attraverso il trapianto di cornea da donatori affetti, l’uso di aghi di registrazione elettrocorticografica, la somministrazione di ormone della crescita estratto dall’ipofisi di cadaveri, l’uso di impianti di dura madre o strumenti neurochirurgici contaminati. Sembra, tuttavia, poco probabile che il contagio possa avvenire per contatto e non vi è evidenza di un’autentica incidenza di malattia in addetti alle autopsie su pazienti affetti. Non esistono evidenze di trasmissione per via respiratoria, intestinale o venerea. Per quanto riguarda la trasmissione interspecie, è ormai accertato che l’encefalopatia spongiforme presente nelle pecore può essere trasmessa alle capre e ad altri mammiferi; inoltre, appare molto probabile un’infezione di bovini attraverso l’ingestione di estratti proteici derivati da tessuti di pecora, sollevando il problema di un ipotetico coinvolgimento della catena alimentare umana.L’agente infettante, che non sembra contenere acido nucleico (è insensibile ai trattamenti chimico-fisici che inattivano i virus convenzionali), è costituito da una proteina del peso di 27-30 Kda (PrP27-30), a struttura secondaria beta, resistente alle proteasi e capace di polimerizzare in bastoncelli (prion rods). È presente all’interno delle strutture che formano le placche simil-amiloidi osservate microscopicamente nel materiale patologico. Tale proteina risulta essere un frammento di una proteina più grande del peso di 33-35 Kda (PrP33-35), identificata come un sialopeptide normalmente presente nella membrana neuronale e codificato da un gene localizzato sul braccio corto del cromosoma 20. Gli eventi che condizionano la trasformazione della PrP33-35 in PrP27-30 non sono ancora noti, ma si ipotizza che la PrP patologica possa indurre la trasformazione della PrP normale in PrP patologica, la quale potrebbe non essere degradata dalle proteasi con conseguente accumulo progressivo fino alla degenerazione neuronale. La PrP27-30 è presente solo negli individui affetti da encefalopatie da prioni e costituisce il marker specifico per la diagnosi post-mortem. Nei casi familiari, nel 20% circa dei casi sono state rilevate mutazioni puntiformi del gene codificate per la proteina prionica in codoni diversi per ciascun gruppo familiare studiato. Mutazioni avvenute nel gene codificante tale proteina ipoteticamente potrebbero essere causa di un anomalo clivaggio della stessa, con liberazione di una frazione neurotossica.Non esiste allo stato attuale una terapia specifica. I farmaci antivirali sono inefficaci. Non è necessario l’isolamento del paziente, mentre alcune cautele devono essere prese per l’esecuzione di una biopsia cerebrale o un’autopsia.

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