Il termine raccoglie le distrofie muscolari progressive a ereditarietà recessiva, legate al cromosoma X, caratterizzate da deficit della distrofina: la m. di Duchenne, la m. di Becker e le rare forme femminili. Il gene alterato, scoperto prima della proteina (1985), è localizzato a livello della regione Xp21 ed è il più grande gene umano conosciuto (2300 chilobasi). La distrofina è una proteina fibrillare del citoscheletro muscolare, pesa 427 chilodalton ed è costituita da 4 domain: un domain N-terminale di 240 aminoacidi con grande analogia strutturale con l’alfa-actinina; un domain costituito da 26 elementi ripetitivi di 109 aminoacidi con analogia con la spectrina; un domain ricco in cisteina; un domain C-terminale di 420 aminoacidi senza analogie con altre proteine muscolari note. La distrofina è localizzata a livello della faccia interna del sarcolemma, concentrata soprattutto in vicinanza delle giunzioni neuromuscolari e muscolo-tendinee. Contribuisce alla stabilizzazione della membrana, permettendone l’ancoraggio al citoscheletro e organizzando la distribuzione delle glicoproteine di membrana. La sua mancanza, come avviene nella m. di Duchenne, o il suo diminuito peso molecolare, come nella m. di Becker, determina un’aumentata fragilità di membrana, che a sua volta spiega la liberazione eccessiva di creatina chinasi (CK) e l’eccessivo ingresso di calcio nella cellula, con conseguente attivazione delle proteasi, diminuzione della sintesi di ATP e degradazione dei fosfolipidi di membrana. Un’attivazione locale del complemento gioca probabilmente un ruolo nell’estensione delle lesioni e nella degradazione delle fibre necrotiche. Oltre che nel muscolo scheletrico, la distrofina è presente nelle cellule muscolari lisce dei visceri, dei vasi e nel cervello: ciò spiega la compromissione multisistemica osservata in queste malattie.Le varie forme di distrofinopatia presentano aspetti clinici ed epidemiologici differenti. La m. di Duchenne, descritta nel 1868, è la più grave delle distrofinopatie. Sono affetti in teoria solo i bambini maschi. L’incidenza è di 140-326 affetti ogni milione di neonati. Un terzo dei casi è legato a nuove mutazioni, ma i progressi della consulenza genetica prenatale stanno aumentando la percentuale dei casi isolati. Nell’evoluzione della malattia si distinguono: (1) la fase preclinica: il deficit si instaurerebbe già nell’epoca ante-natale, come testimoniato dall’aumento degli enzimi muscolari nel siero e dalle lesioni istologiche riscontrate fin dalle prime settimane di vita e anche nel feto; (2) la fase di esordio (3-6 anni): i disturbi della marcia divengono evidenti verso i 3 anni. Le cadute sono frequenti e il bimbo si rialza con una manovra di “arrampicamento” (segno di Gowers), il salire le scale è difficoltoso, l’andatura è anserina con iperlordosi lombare. Fino ai 6 anni il deficit muscolare è essenzialmente prossimale e i muscoli degli arti inferiori e del tronco sono più compromessi di quelli degli arti superiori. I polpacci, ma a volte anche i glutei, il vasto esterno del quadricipite e i deltoidi sono ipertrofici; (3) fase secondaria (6-10 anni): le cadute, legate al deficit muscolare progressivo, diventano invalidanti. La compromissione muscolare si estende ai flessori del collo e ai muscoli degli arti superiori. La pseudo-ipertrofia, legata all’involuzione fibro-adiposa, prende il posto dell’ipertrofia vera. I riflessi tendinei sono pressoché assenti; (4) fase di perdita della marcia (dopo i 10 anni): compaiono atrofia muscolare, benché a volte mascherata dall’involuzione fibro-adiposa, e deformazioni osteoarticolari conseguenti alle retrazioni muscolari del tricipite della sura, dei flessori del ginocchio, dell’anca e del gomito. I piedi sono atteggiati in varo-equino. Insorge una grave cifo-scoliosi; (5) fase finale: tutti i muscoli sono paralizzati, tranne i flessori delle dita, che conservano una certa motilità, e gli oculomotori, che restano intatti. Verso i 20 anni le complicazione da piaghe da decubito o lo scompenso cardiorespiratorio sono la causa del decesso. La compromissione miocardica è praticamente costante nel corso dell’evoluzione. Si manifesta già prima dei 5 anni di vita e va di pari passo con la compromissione muscolo-scheletrica. Si osserva spesso un prolasso della mitrale. Una vera insufficienza cardiaca non si manifesta prima dei 10 anni ed è causa di morte nel 10-50% dei pazienti. Le infezioni respiratorie e l’insufficienza respiratoria sono invece causa abituale di decesso. Vari gradi di ritardo mentale sono riportati in un terzo dei casi.La m. di Becker, descritta da Becker e Keiner nel 1955, è una distrofinopatia ad andamento più benigno e variabile rispetto alla malattia di Duchenne e l’incidenza è 10 volte inferiore. L’età di esordio è variabile tra 2 e 45 anni e di solito si situa tra 4 e 19 anni. Inizialmente, sono compromessi i muscoli del cingolo pelvico e la malattia progredisce al cingolo scapolare in 1-30 anni. I muscoli distali sono risparmiati. La perdita della marcia è piuttosto tardiva e la morte sopravviene in media verso i 42 anni. Sono stati riportati casi di distrofinopatie nel sesso femminile, legati a una traslocazione X-autosoma, alla s. di Turner o a una mancata inattivazione del cromosoma alterato nelle donne portatrici della mutazione Xp21.Per quanto concerne gli esami di laboratorio, l’incremento degli enzimi muscolari nel siero è molto precoce e precede le manifestazioni cliniche. Il livello di CK è 10-100 volte la norma e non è in correlazione con la gravità della malattia. Sono inoltre aumentati l’aldolasi, la lattico-deidrogenasi, le transaminasi e la mioglobina sierica. Nel 30-50% dei soggetti si riscontrano auto-anticorpi contro antigeni nucleari e antigeni delle fibre muscolari lisce e striate. L’elettromiografia mostra gli aspetti miogeni abituali delle patologie primitivamente muscolari. È tuttavia presente un’attività spontanea da necrosi segmentaria delle fibre. Negli stadi tardivi della m. di Duchenne ampie zone muscolari divengono elettricamente silenti a causa della sostituzione fibro-adiposa. Nella m. di Becker si osserva una maggiore presenza di elementi pseudoneurogeni durante la contrazione volontaria: potenziali polifasici di breve durata e piccola ampiezza e potenziali di fibrillazione. Le velocità di conduzione nervosa sono sempre normali. La TC del muscolo mostra, già negli stadi precoci, zone delimitate di ipodensità a livello dei muscoli dei polpacci, delle cosce e dei glutei. L’esame istologico su biopsia muscolare mostra, nella malattia di Duchenne, una marcata differenza nel diametro delle fibre per la compresenza di fibre necrotiche, rigenerative e ipertrofiche. La differenziazione per tipo di fibra all’ATPasi non è evidente. A livello dei segmenti necrotici e negli spazi interstiziali si osservano macrofagi e linfociti attivati. La fibrosi e l’involuzione adiposa endo- e perimesiale progrediscono con l’evoluzione della malattia. Al microscopio elettronico si osservano alterazioni della membrana, che appare duplicata e sede di perdite segmentarie anche nelle fibre non ancora coinvolte dal processo necrotico. Nella m. di Becker le lesioni istologiche sono molto simili, con una grande variabilità di dimensioni delle fibre, aspetti degenerativi e rigenerativi, senza predominanza di un tipo di fibre. Tuttavia, la differenziazione per tipo di fibre all’ATPasi è molto più netta e mostra, nel 50% dei casi, aspetti di pseudodenervazione, come il raggruppamento per fibre dello stesso tipo istologico, probabilmente dovuti a fenomeni di necrosi segmentaria. L’ipertrofia pare essere piuttosto selettiva per le fibre di tipo II. Gli studi istochimici dimostrano, nella m. di Duchenne, un’assenza totale o quasi della distrofina. Nella m. di Becker si osserva una diminuzione del segnale in immunofluorescenza e, a volte, immagini di discontinuità membranaria nella distribuzione della distrofina. Nelle forme femminili e nelle donne portatrici si osserva un aspetto a mosaico in immunofluorescenza con fibre positive e fibre negative.La terapia farmacologica è sempre risultata poco efficace, nonostante i risultati positivi ottenuti con corticoterapia prolungata in studi controllati. La riuscita di trapianti di mioblasti nel topo distrofico MDX apre nuovi orizzonti per la terapia genica. La chirurgia delle retrazioni e della scoliosi permette di prolungare di alcuni anni la stazione eretta. Tuttavia, l’unico intervento efficace attualmente è la consulenza eugenetica, che si basa sulla storia familiare, sullo studio dei livelli di CK e sullo studio genetico familiare, che spesso permette di seguire la segregazione del gene anomalo nelle diverse generazioni. La diagnosi prenatale è possibile già sul trofoblasto del villo coriale mediante studio in Southern blot con sonde di cDNA specifiche e con la tecnica della PCR (polymerase chain reaction). In 2/3 dei casi di m. di Duchenne e di m. di Becker si riscontrano delezioni del gene della distrofina. Negli altri casi, si tratta di delezioni troppo piccole per essere messe in evidenza, di mutazioni puntiformi che spostano il quadro di lettura genomico, o di anomalie della regione promoter.

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