La paroxetina è un antidepressivo che appartiene alla classe degli inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI) .L’azione farmacologica della paroxetina si esplica attraverso un’inibizione della ricaptazione della serotonina e una down regulation dei recettori serotoninergici post-sinaptici dopo somministrazione protratta. Dimostra un’affinità scarsa o nulla per i recettori a-adrenergici, istaminici e muscarinici.La paroxetina è bene assorbita per os, con picco plasmatico dopo 2-8 ore. Il legame proteico è del 95% e l’emivita di 20 ore, con raggiungimento dello steady state in 7-10 giorni circa. Il metabolismo della paroxetina risulta essere di tipo prevalentemente epatico, senza formazione di metaboliti attivi, e gli incrementi posologici determinano un aumento non proporzionale del livello plasmatico del farmaco, non seguendo dunque una farmacocinetica lineare.Il farmaco è indicato nei disturbi depressivi, nel trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo e in quello degli attacchi di panico, con o senza agorafobia. Ulteriori indicazioni sono quelle che riguardano gli altri disturbi collegati allo spettro serotoninergico, quali i disturbi della condotta alimentare, i disturbi del comportamento di tipo aggressivo o impulsivo, le disforie catameniali, le cefalee (soprattutto quelle muscolo-tensive o miste), il dolore cronico (quale potenziante degli analgesici), ecc.Il range posologico della paroxetina è ampio e varia a seconda del tipo di patologia e della risposta individuale al farmaco. Nella terapia della depressione viene utilizzato abitualmente un dosaggio compreso fra 20 e 50 mg/die. Nel disturbo ossessivo-compulsivo i dosaggi tendono a essere più elevati, intorno a 60 mg/die. Non sono consigliati dosaggi superiori a 80 mg/die. Nel disturbo da attacco di panico il dosaggio di paroxetina, almeno inizialmente, tende a essere più basso, 10 mg/die circa, con incrementi graduali settimanali, o più lenti, di 10 mg, a discrezione del curante.Gli effetti collaterali della paroxetina, come per tutti gli SSRI, sono collegati all’incremento del tono serotoninergico: in acuto prevalgono effetti collaterali di tipo gastroenterico (nel 15-30% dei casi possono transitoriamente comparire nausea, iporessia, raramente gastralgie, vomito o diarrea) e collegati all’azione della serotonina sul SNC (nel 10-15% dei casi possono transitoriamente comparire irritabilità, insonnia, sedazione, tremori, ecc.). Con minore frequenza compaiono fenomeni correlati all’azione della serotonina a livello vasale periferico, quali cefalea e sudorazione. In soggetti predisposti, per le interazioni fra serotonina e dopamina a livello dei circuiti nigro-striatali, sono stati descritti sintomi di tipo extrapiramidale (in particolare tremore e incremento del tono muscolare). Nel trattamento cronico tendono a manifestarsi disturbi della sfera sessuale, soprattutto ritardo nel raggiungimento dell’orgasmo (talora sfruttato nel maschio nella cura dell’eiaculazione precoce) e riduzione della libido. Occasionalmente, sono presenti effetti collaterali quali stipsi e secchezza delle fauci. In caso di sovradosaggio sono stati segnalati nausea, vomito, tremore, midriasi, secchezza delle fauci e irritabilità.L’utilizzo della paroxetina è controindicato in corso di contemporanea assunzione con farmaci inibitori delle monoaminossidasi (IMAO) , in quanto sono state osservate reazioni gravi, talora letali.La paroxetina, come altri SSRI, è un potente inibitore del sistema del citocromo P450, soprattutto dell’isoenzima tipo IID6, coinvolto nel metabolismo di molti altri psicofarmaci e di farmaci di abituale uso medico internistico. È stato osservato un notevole incremento dei livelli plasmatici (precedentemente stabili) di antidepressivi triciclici (ad es., desipramina) dopo la somministrazione in associazione di paroxetina. Altri farmaci metabolizzati da tale sistema enzimatico sono, ad esempio, i neurolettici di tipo fenotiazinico (vedi
Fenotiazine) e alcuni antiaritmici.L’emivita del diazepam e di altre benzodiazepine nordiazepam-simili può essere prolungata in associazione alla paroxetina. Per contro, la co-somministrazione con fenitoina e carbamazepina riduce la concentrazione plasmatica di paroxetina. La cimetidina aumenta la biodisponibilità di paroxetina del 45%.Analoga cautela, con monitoraggio plasmatico dei tempi di coagulazione, va utilizzata nell’associazione della paroxetina e di altri SSRI con farmaci anticoagulanti (ad es., dicumarolici). Sono stati riferiti casi sia di aumento sia di diminuzione dei livelli plasmatici di litio in terapia di associazione, sino al raggiungimento di casi di tossicità da litio. La litiemia dovrebbe essere controllata attentamente quando viene associata la paroxetina o altri SSRI. A causa dell’elevato legame plasmatico del farmaco con le proteine plasmatiche, la somministrazione a pazienti che assumono altri farmaci a forte legame sieroproteico (ad es., digitossina, warfarin, ecc.) può causare una modificazione nelle concentrazioni plasmatiche e un aumento dell’azione clinica degli stessi. Ulteriore cautela va utilizzata nell’associazione fra SSRI e altri farmaci ad azione sul sistema serotoninergico (ad es., precursori della serotonina, quali il 5-idrossi triptofano, altri antidepressivi di tipo serotoninergico, i sali di litio, ecc.) in quanto può, in soggetti predisposti, manifestarsi una sindrome serotoninergica.La paroxetina, come tutti gli SSRI, pur non dimostrando la collateralità cardiotossica diretta degli antidepressivi triciclici, deve essere utilizzata a dosaggio inizialmente ridotto e con attento monitoraggio clinico, per il rischio di transitoria risposta vasocostrittiva, individuo-dipendente, nell’infarto miocardico acuto.

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