I disturbi somatoformi sono caratterizzati dalla presenza di sintomi fisici che suggeriscono l’ipotesi di una malattia medica, ma di cui non è dimostrabile la patologia organica o il meccanismo fisiopatologico di base. Si differenziano dai disturbi fittizi e dalla simulazione in quanto i pazienti non hanno un controllo volontario sui propri sintomi. Spesso è difficile distinguere il disturbo somatoforme da malattie organiche mediche: infatti il medico deve escludere il disturbo fisico, ma segni e sintomi si conformano a precise patologie e a volte il disturbo si sovrappone a un problema medico preesistente, rendendo ulteriormente difficile porre una corretta diagnosi.Considerando il difficile inquadramento nosografico che ha da sempre caratterizzato questo tipo di disturbi, il DSM-IV abbandona il vecchio concetto di nevrosi isterica e nel gruppo dei disturbi somatoformi comprende: il disturbo di conversione, il disturbo da dismorfismo corporeo (dismorfofobia), l’ipocondria, il disturbo di somatizzazione (nella vecchia terminologia indicato con il nome di sindrome di Briquet), il disturbo da dolore somatoforme, il disturbo somatoforme indifferenziato e il disturbo somatoforme non altrimenti specificato. Come da molti evidenziato, questa classificazione particolarmente rigida risulta poco soddisfacente. Il concetto di reazione di conversione elaborato nella tradizione psicoanalitica nasce inizialmente dal concetto di isteria; per Freud, l’esistenza di memorie inconsce di eventi passati ed emotivamente carichi di significato per il paziente, ma non espressi, sarebbe alla base dell’insorgenza dell’isteria. Egli individua un guadagno “primario”, che comporta una riduzione del conflitto emotivo, da un guadagno “secondario”, espressione di un tentativo di richiamare l’attenzione su sé con atteggiamento manipolativo sull’ambiente esterno. Recentemente, dalla grande categoria dell’isteria sono stati separati da una parte i sintomi sensomotori (reazione di conversione) e dall’altra gli aspetti dissociativi della coscienza.Anche il disturbo di somatizzazione si inserisce tradizionalmente nel quadro delle nevrosi isteriche, mentre ipocondria e dismorfofobia sono caratterizzate da un disturbo del pensiero con ideazione ossessiva. Spesso, poi, sintomi di conversione e di somatizzazione sono compresenti nello stesso paziente o nello stesso momento o si presentano in successione come possibile evoluzione della malattia. Non deve quindi stupire, vista l’eterogeneità dei disturbi compresi nel quadro dei disturbi somatoformi, la confusione che da sempre ne caratterizza la classificazione.Il concetto di conversione ha subito molte modificazioni nel corso degli anni. Come già visto, il termine era stato usato inizialmente come sinonimo di isteria. Charcot individua nell’isteria una condizione patologica del sistema nervoso presente in entrambi i sessi, che si manifesta attraverso disturbi intellettuali, sensazioni anormali, contratture, paralisi, convulsioni, accidenti parossistici, simulante le più svariate malattie, senza lesioni organiche apprezzabili. Egli ha dimostrato che questi sintomi potevano essere indotti dalla suggestione e ha individuato nell’isteria una malattia di tipo degenerativo ereditario. Freud, d’altro canto, ha posto l’accento sul meccanismo eziologico dell’isteria, per cui fattori traumatici con origini psicologiche e conseguenti conflitti intrapsichici sarebbero alla base dell’insorgenza del disturbo.Nel disturbo di conversione vi è un’alterazione o la perdita di funzionamento fisico espressione di un conflitto o di un bisogno psicologico. Il soggetto non appare consapevole del produrre intenzionalmente il sintomo e quest’ultimo, anche dopo opportuni accertamenti, non può essere spiegato con un disturbo fisico noto. Quando i sintomi di conversione si limitano al dolore o ad alterazioni del funzionamento sessuale non è possibile porre diagnosi di disturbo di conversione, ma rispettivamente di disturbo da dolore somatoforme e di disturbi da dolore sessuale.Alcuni sintomi sono più frequenti di altri, come ad esempio paralisi, convulsioni, disturbi visivi, disturbi della coordinazione, afonia, alterazioni della sensibilità, ecc., che quasi sempre simulano malattie neurologiche; il sistema endocrino e quello neurovegetativo sono rappresentati meno frequentemente. Tra tutti i disturbi somatoformi, è quello che più risente di un meccanismo specifico alla base delle manifestazioni, meccanismo che, come abbiamo già visto, consente di ottenere un guadagno “primario” e uno “secondario”. Quindi, in accordo con la teoria psicoanalitica, la conversione è in realtà un meccanismo di risposta all’ansietà generata dalla presenza di un conflitto psicologico. Si pensa che il disturbo di conversione possa avere basi neuropsicologiche: in alcuni pazienti, infatti, è stata osservata un’alterazione a livello del SNC. È stato teorizzato che i sintomi di conversione siano dovuti a un’eccessiva attivazione corticale, con conseguente feedback negativo tra la corteccia cerebrale e la formazione reticolare. Infatti, l’osservazione che i pazienti spesso mostrano bassi livelli ansiosi e una relativa indifferenza alla compromissione del loro stato fisico è una comprova della riduzione della percezione delle sensazioni fisiche associata a riduzione della motricità. È stata inoltre osservata un’alterazione nel rapporto tra emisfero dominante e non dominante per il ruolo svolto dall’emisfero destro nella genesi delle emozioni e la successiva connessione con il sinistro per le funzioni verbali: è stata infatti riscontrata una predominanza sinistra quando la sintomatologia si presenta unilateralmente.Dal punto di vista epidemiologico, il disturbo di conversione si presenta con maggiore frequenza nel sesso femminile rispetto a quello maschile, con un rapporto variabile da 2:1 a 5:1. L’incidenza varia invece dallo 0,01% allo 0,02%, con una prevalenza nei pazienti psichiatrici pari al 25%.Il quadro clinico può essere caratterizzato da un solo sintomo, che può però variare per localizzazione e natura se si succedono più episodi. Di solito, il sintomo si manifesta dopo un evento particolarmente stressante per il paziente, ma, in maniera caratteristica, è presente una relativa mancanza di preoccupazione, un tempo definita belle indifférence. I sintomi di conversione possono essere osservati in concomitanza con altre patologie psichiatriche, quali la schizofrenia e i disturbi dell’umore, oltre che in associazione ad alcune malattie neurologiche, quali ictus, encefaliti, epilessia, sclerosi multipla, tumori e traumi cranici. Il trattamento che storicamente ha rivestito maggiore efficacia è la psicoterapia psicoanalitica, ma oggi si preferisce dare importanza alla rassicurazione del paziente, al sostegno e all’informazione educativa. In un momento successivo si cerca di individuare la situazione stressante di partenza per poi elaborare insieme al soggetto un progetto terapeutico. La prescrizione farmacologica è strettamente limitata nel tempo e si avvale soprattutto di benzodiazepine, in particolare per trattare le manifestazioni ansiose a volte associate.Nel caso del disturbo di somatizzazione sono presenti lamentele somatiche multiple e ricorrenti che, secondo la definizione del DSM-IV, durano da molti anni, con insorgenza di solito prima dei 30 anni, per le quali è stata richiesta l’attenzione dei medici e che hanno costretto il paziente a far ricorso a farmaci o a modificare il proprio stile di vita, ma che apparentemente non sono dovute a nessun disturbo fisico. Per alcuni aspetti, il disturbo di conversione e quello di somatizzazione presentano analogie e, a volte, possono essere presenti contemporaneamente nello stesso soggetto o in successione come possibile evoluzione di uno dei due disturbi nell’altro. Originariamente, questo quadro clinico era compreso nella s. di Briquet, che descriveva sintomi multipli medici senza che fosse possibile individuare una patologia o un meccanismo eziopatogenetico alla base del disturbo. La storia medica di questi pazienti è spesso drammatica, poiché numerosi risultano essere le consultazioni specialistiche, i ricoveri, le indagini strumentali e anche gli interventi chirurgici; caratteristici sono la cronicità e, soprattutto, il polimorfismo dei sintomi. Frequenti sono le associazioni del disturbo di somatizzazione con altre patologie psichiatriche, come i disturbi dell’umore e l’ansia.Importante sembra essere la personalità del paziente con frequenza variabile di atteggiamenti istrionici, seduttivi e manipolativi. Non infrequente è l’ideazione anticonservativa, ma la messa in atto risulta spesso inadeguata. Sembra essere presente una familiarità, tanto da indurre Minuchin a identificare le cosiddette famiglie psicosomatiche in cui l’attenzione eccessiva ai sintomi somatici rappresenta una forma di comunicazione intrafamiliare. In questi pazienti è descritto un sintomo particolare, noto come alexitimia, che rappresenta l’incapacità di esprimere a parole i propri sentimenti. Dal punto di vista epidemiologico, il disturbo di somatizzazione colpisce il 4-5% della popolazione generale, con una frequenza elevata nelle donne (rapporto femmine-maschi di 10:1 circa) e con una predisposizione genetica ad ammalare. È importante in questi casi modificare il comportamento del paziente, ponendo particolare interesse ai problemi personali e sociali, piuttosto che a quelli somatici; l’uso di farmaci deve essere oculato poiché spesso questi soggetti sviluppano una dipendenza: buoni risultati si ottengono sia con composti benzodiazepinici sia con antidepressivi.L’ipocondria rappresenta invece la paura di avere una malattia, con interpretazione abnorme di segni o sensazioni fisiche. La preoccupazione del proprio stato di salute diviene predominante, fino ad assumere in certi casi un vero e proprio delirio ipocondriaco. La durata del disturbo deve essere superiore ai 6 mesi, secondo il criterio classificatorio del DSM-IV, con decorso solitamente cronico e caratterizzato da esacerbazioni e remissioni. Il funzionamento sociale e lavorativo risulta spesso compromesso, con passaggio da un medico a un altro, per cercare conferma della malattia. Come per gli altri disturbi somatoformi, gli stress psicosociali sembrano predisporre allo sviluppo del disturbo; lo svilupparsi di una personalità premorbosa sembra essere collegato a particolari atteggiamenti familiari, caratterizzati da eccessiva apprensività, iperprotettività e ipercontrollo. La prevalenza della malattia oscilla tra il 3% e il 14%, mentre non sembra esserci differenza tra maschi e femmine, anche se qualche autore riferisce una frequenza lievemente maggiore nei maschi. Difficile risulta la terapia poiché il paziente non crede di non essere malato, nonostante le rassicurazioni del medico; utili sembrano essere gli interventi a breve termine di tipo cognitivo-educazionale o comportamentale e la terapia psicoanalitica. L’uso dei farmaci è rivolto alle benzodiazepine, agli antidepressivi triciclici, agli inibitori del reuptake della serotonina e, in qualche caso, ai neurolettici.Il termine dismorfofobia indica la sensazione soggettiva della presenza di difetti dal punto di vista del proprio aspetto fisico, in una persona con aspetto normale. Il paziente si sente osservato dagli altri e a volte le preoccupazioni riguardo il proprio corpo possono essere di gravità tali da assumere i caratteri dell’ossessione, di un’idea prevalente o di un delirio secondario. A volte il paziente richiede trattamenti di chirurgia estetica, ma il disturbo dell’immagine corporea non si modifica neanche dopo gli interventi. Spesso vi è evitamento di situazioni sociali perché è in queste situazioni che l’ansia riguardo il proprio aspetto fisico diviene più marcata. Sono presenti a volte sintomi secondari, che comprendono depressione, insonnia e ansia. L’età media di osservazione del disturbo è verso i 30 anni, ma in genere la preoccupazione riguardo il proprio aspetto fisico si sviluppa già nell’adolescenza; il decorso è di tipo cronico e non è rara l’ideazione anticonservativa quando più marcati sono i sentimenti di autosvalutazione ed è presente depressione. Nel caso della dismorfofobia il trattamento si avvale soprattutto dell’intervento farmacologico e, in particolare, vengono utilizzati neurolettici come la pimozide, gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina e gli antidepressivi triciclici.Il disturbo da dolore è caratterizzato dalla presenza di un dolore grave e prolungato per il quale non si trova una spiegazione organica e di sufficiente gravità da richiedere attenzione clinica, con notevole compromissione in ambito sociale e familiare. Il dolore può essere variamente localizzato e magari insorgere dopo traumi, interventi, malattie; di solito compare improvvisamente e aumenta di gravità nell’arco di qualche settimana. Moltissime sono le interpretazioni sul significato del dolore, ma la causa prima del disturbo è stata identificata in fattori di tipo psicologico. Il DSM-IV distingue le forme acute con durata inferiore ai 6 mesi e dalle forme croniche con durata superiore; il disturbo è più comune nelle donne, anche se tradizionalmente è stato osservato che gli uomini presentano una tolleranza al dolore minore. Sono spesso presenti sintomi depressivi e un allontanamento dal lavoro e dalle attività sociali, fino ad arrivare alla condizione di invalidità: il paziente può sottoporsi a numerosi interventi medici e facilmente sviluppa dipendenza nei confronti di tranquillanti e analgesici-narcotici. Il disturbo da dolore somatoforme sembra avere un’incidenza doppia nelle femmine rispetto ai maschi ed è stata evidenziata una certa familiarità. La terapia è di tipo farmacologico con uso di analgesici, in particolare antinfiammatori non steroidei, ansiolitici e sedativi; tutti devono comunque essere prescritti con la massima cautela, ricordando la facilità alla dipendenza di questi pazienti; vengono anche utilizzati con buoni risultati i triciclici, soprattutto quando sono presenti depressione ed elevati livelli d’ansia, e le benzamidi, come la sulpiride e la levo-sulpiride. In alcuni casi sembra utile il ricorso alla terapia di tipo comportamentale collegata al dolore, ai trattamenti psicoterapeutici di gruppo, familiari e di coppia e, in particolare, l’uso dell’ipnosi e di tecniche cognitive per il controllo del dolore.

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