La pretesa di fornirne un’interpretazione ha segnato la storia della schizofrenia sollevando divergenze superabili unicamente da un intento puramente descrittivo come quello adottato dalle attuali classificazioni internazionali del DSM-IV e dell’ICD-10.Il DSM-IV definisce la schizofrenia come un disturbo caratterizzato nella storia naturale, dalla presenza per almeno un mese di deliri, allucinazioni, eloquio disorganizzato, comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico (vedi
Catatonia), sintomi negativi (presenti in numero di due o più), disfunzione sociale e lavorativa, della durata di almeno 6 mesi, compresi i sintomi prodromici o residui. Devono essere inoltre esclusi il disturbo schizoaffettivo e dell’umore e l’effetto fisiologico di una sostanza o di una condizione medica generale.L’ICD-10 propone come criteri diagnostici uno dei sintomi di primo rango di Schneider (vedi oltre) o un delirio bizzarro, oppure uno degli altri sintomi caratteristici (allucinazioni accompagnate da deliri, alterazioni del pensiero, sintomi catatonici e negativi), con durata di almeno 1 mese (viene quindi compreso il disturbo schizofreniforme) e senza la necessità di una compromissione nel funzionamento.Le prime descrizioni non sistematizzate della s. risalgono alle osservazioni che Pinel effettuò nel 1809 di alcuni quadri clinici caratterizzati dall’insorgenza, in età postpuberale, di un netto cambiamento della personalità con alterazioni del pensiero, dell’affettività e progressivo deterioramento comportamentale. Egli utilizzò il termine di demenza, poi ripreso da Morel nel 1860, per descrivere un quadro analogo, mentre Hecker (1871) preferì parlare di ebefrenia. Nel 1874, Kahlbaum descrive la catatonia come è oggi conosciuta. Il primo a mettere ordine, cercando di giungere a una codificazione univoca di tali quadri, fu Kraepelin, che utilizzò come criteri fondamentali unificanti le caratteristiche di stato e principalmente di decorso.Nella quarta edizione del suo Trattato (1893), Kraepelin, sotto il titolo Processi psichici degenerativi, conseguenti a processi morbosi somatici interni all’organismo, raggruppa la dementia praecox, staccandosi poi nelle successive edizioni dal concetto di sindrome per aderire al modello medico di malattia. Nella sesta edizione (1899), la dementia praecox riunisce diversi quadri clinici, con decorso cronico e peggiorativo, evolventi verso la debolezza mentale, con alla base verosimili gravi alterazioni della corteccia cerebrale. Sono comprese le parafrenie, mentre a parte viene considerata la paranoia.Nel 1911 esce la pubblicazione di Bleuler Dementia praecox oder die Gruppe der Schizophrenien, in cui compare per la prima volta il termine di radice greca schizofrenia (mente divisa), che segna, accanto a una variazione semantica, un profondo mutamento dottrinale in quanto rispecchia il preciso intento di dimostrare che l’alterazione fondamentale della dementia praecox è la scissione delle diverse funzioni psichiche. Bleuler infrange il monolitismo kraepeliniano, parlando non di una singola malattia, ma di gruppo di schizofrenie, allargando i confini fino a comprendere forme sfumanti con la normalità e affermando che il decorso può essere multifasico. Nonostante il tentativo di una comprensione psicologica della schizofrenia, non scompare comunque il concetto di malattia essendo le cause psichiche, per l’autore, in grado di influire unicamente sui sintomi secondari, mentre il disturbo delle associazioni, unico sintomo primario identificato, sarebbe espressione diretta del processo morboso. Mentre Kraepelin considerava come tratto fondamentale comune la perdita dell’unità interna delle attività intellettive, emotive e volitive, Bleuler effettua una distinzione fra sintomi fondamentali o duraturi (sempre presenti), identificati nei disturbi delle associazioni e dell’affettività, nell’ambivalenza e nell’autismo, dai sintomi accessori (che possono mancare), come deliri, allucinazioni, variazioni dell’umore, alterazioni dello stato di coscienza e manifestazioni catatoniche.Schneider (1950) affronta il problema della schizofrenia prestando attenzione ai quadri di stato e cerca di delimitarla dal punto di vista puramente psicopatologico, basandosi sui vissuti riferiti dal paziente. Per distinguerla dalla ciclotimia, fornisce criteri diagnostici puramente operativi, senza pretese di elaborare una teoria, e li suddivide in criteri patognomonici, o di prim’ordine (comprendenti eco del pensiero, voci colloquianti, voci di commento, esperienze di passività somatica, furto del pensiero, percezioni deliranti, altre esperienze riguardanti costrizioni della volontà, delle emozioni e degli impulsi) e criteri accessori, o di secondo ordine (comprendenti altri disturbi psicosensoriali, intuizione delirante, perplessità, alterazioni dell’umore depressive e euforiche, sensazioni di impoverimento affettivo).Utilizzando i criteri psicodinamici, Meyer rigetta la concezione kraepeliniana e parla di reazione schizofrenica, sottolineando la connotazione ambientale e interpersonale della malattia.Con Ey, i confini della schizofrenia cambiano nuovamente in senso restrittivo poiché con tale termine vengono indicati unicamente quadri cronici e inguaribili, espressione di un disturbo della personalità. Così, per Leonhard (1960) le vere schizofrenie sarebbero quelle forme di malattia a insorgenza subacuta o cronica, decorso lineare ed esito difettuale.Attualmente, il dibattito è incentrato sul concetto di schizofrenia come malattia, con eziopatogenesi multipla e univoca, sia essa biologica o psicologica; come sindrome, esito finale di diversi processi morbosi e come spettro di condizioni affini (Kety 1968) comprendenti anche il disturbo schizofreniforme e la personalità schizoide o schizotipica .Gli studi epidemiologici hanno risentito del differente significato attribuito fino a epoca recente al termine schizofrenia, inteso in senso restrittivo in ambito europeo e allargato negli USA. I tassi di prevalenza rilevati in molti e ampi studi variano dallo 0,2% al 2%, senza significative differenze nei vari gruppi etnici, con un’incidenza di 1/10.000, mentre la prevalenza lifetime sarebbe dello 0,5-1%. Per i maschi, il massimo rischio di comparsa della malattia è compreso fra i 15 e i 25 anni, per le femmine fra i 20 e i 25, differenza interpretata come conseguenza di un miglior adattamento premorboso nelle femmine e un concomitante più tardivo sviluppo dei sistemi dopaminergici (Weinberger 1986). Studi familiari hanno evidenziato un rischio 18 volte più elevato nei parenti di primo grado dei pazienti affetti da schizofrenia, 40-60 volte nei gemelli dizigoti e il triplo nei monozigoti.L’incidenza risulterebbe maggiore nelle classi sociali meno agiate, fenomeno che troverebbe una spiegazione nella deriva sociale, mentre la prognosi sarebbe migliore nei Paesi in via di sviluppo.La storia naturale della malattia è descrivibile considerando tre fasi: prodromica, attiva, residua.La fase iniziale e prodromica è caratterizzata da una serie di cambiamenti rispetto allo stato di funzionamento precedente, spesso verificantesi dopo un evento stressante. Il soggetto può manifestare ritiro e isolamento sociale, difficoltà comunicativa, perdita dell’interesse e della motivazione nei confronti delle precedenti attività con comparsa di nuovi interessi sovente incentrati su temi magici, pseudo-filosofici o pseudo-scientifici; comparirebbero, inoltre, stranezza, bizzarria, riduzione delle capacità di svolgere un comportamento finalizzato, con declino del rendimento lavorativo o scolastico. Spesso è presente una marcata quota ansiosa che può trasformarsi in angoscia, depersonalizzazione auto-, allo- e somatopsichica. L’andamento risulta progressivo e peggiorativo e può durare da alcune settimane a mesi prima di sfociare nella fase attiva.La fase attiva è caratterizzata da una sintomatologia concettualmente suddivisibile in due categorie (positiva e negativa), utilizzate da Crow (1980) per postulare due tipi di schizofrenia: tipo I con sintomatologia produttiva e miglior prognosi; tipo II con sintomatologia negativa, prognosi infausta e alterazioni morfologiche cerebrali. I sintomi positivi includono distorsioni o esagerazioni del pensiero deduttivo (deliri), della percezione (allucinazioni), del linguaggio e della comunicazione (eloquio disorganizzato con deragliamento, tangenzialità) e del controllo del comportamento, che può risultare disorganizzato o catatonico (con i vari gradi di stupor, rigidità, negativismo, flexibilitas cerea ed eccitamento). I sintomi negativi riguardano restrizioni nello spettro e nell’intensità delle espressioni emotive (appiattimento dell’affettività), nella fluidità e nella produttività del pensiero e dell’eloquio (alogia) e nell’iniziare comportamenti finalizzati a una meta (abulia).La fase attiva può durare mesi o anni per modificarsi poi nel senso di una restitutio ad integrum o di una fase residuale.Il decorso, dopo il primo episodio, può essere caratterizzato da remissione, ricadute episodiche, cronicità (durata dei sintomi per oltre 2 anni). Nel 25% dei casi vi sarebbe una restitutio ad integrum, nel 48% una risoluzione con difetto (non sono presenti i sintomi della fase acuta, ma il paziente presenta variazioni comportamentali stabili rispetto allo stato precedente) e nel 27% deterioramento progressivo (grave deterioramento psichico, con incapacità di svolgere un’attività finalizzata e di comprendere concetti complessi). Fattori prognostici favorevoli sarebbero: buon adattamento premorboso, esordio acuto, età di esordio più tardiva, sesso femminile, presenza di fattori scatenanti, disturbi dell’umore associati, breve durata dei sintomi della fase attiva, buon funzionamento intercritico, minimi sintomi residui, assenza di alterazioni strutturali cerebrali, funzionamento neurologico normale, una storia familiare di disturbo dell’umore e nessuna storia familiare di schizofrenia (DSM-IV).I sottotipi attualmente considerati dal DSM-IV sono il tipo paranoide (preoccupazioni relative a uno o più deliri o frequenti allucinazioni uditive; non soddisfatti i criteri per gli altri sottotipi), disorganizzato (eloquio e comportamento disorganizzato, affettività appiattita o inadeguata; non soddisfatti i criteri per il tipo catatonico), catatonico (almeno due tra i seguenti sintomi: arresto motorio evidenziato da catalessia o stupor; eccessiva attività motoria, negativismo estremo o mutacismo; tendenza alla postura fissa, manierismi, stereotipie, smorfie; ecolalia o ecoprassia), indifferenziato (non soddisfatti i criteri per i primi tre tipi), residuo (il quadro clinico attuale è senza sintomi positivi rilevanti, ma vi è manifestazione continua del disturbo rivelata dalla presenza di sintomi negativi o positivi attenuati).Dal punto di vista eziopatogenetico, l’interpretazione della schizofrenia come malattia organica, di kraepeliniana memoria, ha stimolato una serie di ricerche volte a ricercarne il substrato organico.Studi istologici post mortem hanno evidenziato una riduzione della densità neuronale e disorganizzazione delle cellule piramidali a livello ippocampale (Benes e Bird 1987; Altshuler et al. 1987), risultati tuttavia di entità relativamente scarsa e riferibili solo a sottogruppi e, pertanto, non generalizzabili.L’utilizzazione di tecniche TC ha messo in luce una dilatazione ventricolare laterale nel 6-40% dei casi (che interesserebbe soprattutto pazienti con sintomatologia negativa) e atrofia corticale che sembrerebbe interessare maggiormente il lobo prefrontale; la RM ha confermato tali dati evidenziando anche alterazioni della simmetria emisferica (Stratta 1989; Rossi 1990), presente però solo in sottogruppi. Sono state postulate anche un’ipotesi lesionale e una virale della schizofrenia, che hanno addotto evidenze in quadri clinici simili, rispettivamente in alcune forme di patologia organica e di encefaliti virali, ma non supportate da dati sufficienti.Accanto alle alterazioni di tipo morfologico, sono state ricercate alterazioni funzionali. All’analisi EEG risulterebbe un’alta percentuale di tracciati genericamente anormali (40-50%) e una riduzione di ampiezza dei potenziali evocati tardivi (P300, CNV). Alla SPECT e alla PET sono state riscontrati riduzioni di flusso e metabolismo in sede frontotemporale con sbilanciamento emisferico, prevalenza funzionale a sinistra e aumento dell’attività metabolica sottocorticale. Tali alterazioni sembrerebbero in relazione con la via finale di manifestazione della malattia, piuttosto che costituirne il nucleo eziopatogenetico.Le osservazioni farmacologiche sono state la base per la formulazione dell’ipotesi dopaminergica della schizofrenia (Carlsson 1978). Nella sua formulazione originaria, infatti, era sorta in seguito al riscontro della possibilità di indurre disturbi psicotici in pazienti in trattamento cronico con amfetamine (sostanze inducenti un aumento di sintesi e rilascio di DA) e alle evidenti azioni antipsicotiche dimostrate dai NLT, farmaci con attività di blocco recettoriale DAergica, che faceva pensare all’aumentato funzionamento di almeno una delle vie dopaminergiche nella schizofrenia. Successivamente, studi post mortem e poi in vivo hanno messo in luce un aumento dei siti recettoriali dopaminergici D2 a livello sottocorticale, soprattutto nei pazienti con sintomatologia produttiva. L’ipofrontalità, riscontrata dalle indagini funzionali, è stata attribuita a un’ipoattivazione dopaminergica mesocorticofrontale (con perdita del feedback inibitorio nelle strutture sottocorticali) e a un’iperattivazione dopaminergica a livello mesolimbico. Tale assunto spiegherebbe la coesistenza di sintomi positivi e negativi nella maggior parte dei casi di schizofrenia, ma potrebbe anche risultare semplicemente consequenziale ad altre alterazioni esistenti e rispecchiare un tentativo di compenso di fronte a un livello di richieste ambientali che il cervello non sarebbe più in grado di gestire. Recenti osservazioni che aree della corteccia limbica modulano tramite vie glutamatergiche la funzione dopaminergica nello striato e nel nucleo accumbens (inibendole) hanno permesso di ipotizzare che la diminuzione della funzione glutamatergica possa dare ragione delle disfunzioni dopaminergiche nello striato e nel nucleo accumbens.Altre fondamentali osservazioni sono state condotte sulle vie serotoninergiche. Esisterebbero anomalie del sistema 5-HT, almeno in alcune forme cliniche con sintomatologia negativa, in cui un ridotto turnover cerebrale di 5-HT (indicato dai bassi valori di 5-HIAA liquorale) potrebbe indurre una condizione di ipersensitività recettoriale 5-HT2; il diminuito tono neurotrasmettitoriale 5-HTergico potrebbe tradursi in una riduzione della modulazione inibitoria esercitata su strutture DAergiche.Il miglioramento della sintomatologia negativa, riscontrato dopo trattamento con farmaci ad azione bloccante i recettori 5-HT2, ha condotto a una nuova formulazione della teoria dopaminergica, che vede nella sintomatologia positiva un aumentato rapporto nell’attività DA/5-HT che risulterebbe invece capovolto nei pazienti con sintomatologia negativa.La maggior parte degli autori oggi sostiene che nel ricercare la genesi della schizofrenia sia necessario fare riferimento a diversi fattori. Una presumibile debolezza biologica per manifestarsi necessita di un contesto psico-socio-relazionale che la favorisca.Abram è l’iniziatore dell’indagine psicodinamica che vede come caratteristiche essenziali della schizofrenia la perdita dell’amore oggettuale e la sublimazione. Per Freud, la psicosi va intesa come un conflitto fra Io e mondo esterno, che termina con una negazione del mondo e la sua ricostruzione in maniera onnipotente, delirante e allucinatoria.Nel modello offerto dalla Klein, lo schizofrenico non avrebbe superato la posizione schizoparanoide che sarebbe pronta a riattivarsi di fronte a un trauma specifico dell’adolescenza o della vita adulta.Il meccanismo di difesa utilizzato dallo schizofrenico è l’identificazione proiettiva (tipica della fase schizoparanoide): il soggetto proietterebbe su oggetti esterni le parti cattive del Sé scisso e l’oggetto diventerebbe persecutorio; in un secondo momento, si verificherebbe una reintroduzione di tali parti con l’identificazione confusiva e allucinatoria con gli oggetti esterni.Le teorie socio-relazionali hanno individuato le cause della schizofrenia in interazioni comunicative patologiche tra i membri familiari o nel contesto della società di appartenenza (teoria del doppio legame di Bateson et al.).La terapia di elezione è quella farmacologica, attuata con neurolettici e antipsicotici atipici di diverse classi, che hanno come meccanismo comune il blocco dopaminergico soprattutto D2 risultando particolarmente efficaci contro la sintomatologia produttiva. L’introduzione di sostanze con azione di blocco dei recettori 5-HT2 ha permesso di poter agire anche sulla sintomatologia negativa, oltre a ridurre la collateralità extrapiramidale.

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