La sclerosi multipla (SM), comunemente definita anche sclerosi a placche (o disseminata e, nel passato, anche nevrassite), è la più frequente tra le malattie demielinizzanti (eponimo: mielinoclastiche) del SNC e rappresenta la principale causa di disabilità neurologica nel giovane adulto. Le lesioni patologiche tipiche della malattia sono costituite da aree circoscritte e irregolari di perdita della mielina, a elettiva localizzazione perivascolare; esse interessano in modo disseminato la sostanza bianca dell’encefalo e del midollo spinale e tendono nel tempo a recidivare e a estendersi. Colpisce individui tra i 20 e i 40 anni, con un picco di incidenza intorno ai 30 anni, anche se esistono casi a esordio giovanile (5% 30 casi/100.000 abitanti), zone a medio rischio, tra cui l’Europa mediterranea, e zone a basso rischio (40 anni) e si correla a una disabilità neurologica entro pochi anni; si caratterizza solitamente come una mielopatia cronica progressiva o una sindrome cerebellare progressiva. I principali fattori intercorrenti che possono riacutizzare la malattia sono il puerperio e le infezioni simil-virali, mentre la febbre e l’aumento della temperatura ambientale sembrerebbero aggravare l’espressione dei sintomi peggiorando la conduzione nervosa. L’invalidità è in relazione prevalentemente alla gravità dei disturbi piramidali, cerebellari e visivi. Le aspettative di vita sono ridotte solo di alcuni anni e la morte interviene per cause legate alla disabilità (broncopolmoniti, polmoniti ab ingestis, complicanze settiche).Per quanto concerne le sindromi demielinizzanti circoscritte (neurite ottica, mielite trasversa, m. di Devic) e diffuse (m. di Schilder, sclerosi concentrica di Von Balò), vedi
Demielinizzanti, malattie.Diagnosi. Si basa su dati clinici e “paraclinici” (mediante RM encefalo e potenziali evocati) e sull’esame del liquor. La diagnosi di “SM clinicamente definita” si basa sul riscontro di 2 episodi (di durata >24 ore) comparsi a un intervallo di almeno 1 mese, a topografia lesionale diversa in base all’evidenza clinica o paraclinica. Qualora si siano verificati due episodi con evidenza di una sola sede lesionale o in presenza di due sedi lesionali nell’ambito dello stesso episodio, la diagnosi è “definita dal laboratorio” in presenza di riscontro di bande oligoclonali (o di aumento della sintesi intratecale di IgG) nel liquor. Nel caso in cui uno di tali criteri non risultasse soddisfatto, la diagnosi resta “probabile”.Esame del liquor. Una modesta pleiocitosi linfocitaria si correla talora con lo stato di attività della malattia e le proteine totali possono essere lievemente aumentate. Il reperto più caratteristico è l’aumento delle IgG le quali, come è dimostrato dai valori dell’indice di link (>0,69), derivano in massima parte da una sintesi intratecale. Mediante l’isoelettrofocusing e tecniche più sofisticate (immunoblotting) è inoltre possibile una dimostrazione qualitativa di tale sintesi, evidenziando una ristretta eterogeneità assente nel siero (bande IgG oligoclonali e talora bande di catene leggere). Tale pattern, presente nel 90% dei pazienti con SM, non è tuttavia specifico, potendosi riscontrare in altre infezioni subacute e croniche del SNC (neurolue, neuroborrelliosi, infezione da HIV) o raramente in soggetti normali. Esso compare precocemente nel corso di malattia e tende a rimanere costante nel tempo.RM encefalo. La sensibilità diagnostica di tale esame raggiunge il 95% nelle forme clinicamente definite. Evidenzia alterazioni multifocali della sostanza bianca che appaiono come aree di aumentato segnale nelle sequenze pesate in T2 e in densità protonica. Tali aree non sono un reperto esclusivo della malattia, potendosi riscontrare in corso di vasculopatie, infezioni, vasculiti, in alcuni soggetti emicranici e raramente in individui asintomatici. Tuttavia, la preferenziale localizzazione periventricolare e sottotentoriale delle lesioni e la comparsa in tempi successivi rendono alcuni reperti altamente suggestivi per SM. La specificità può essere aumentata con la somministrazione del gadolinio-DTPA, che viene precocemente accumulato (iperintensità in T1) a seguito del danno di barriera a livello di placche attive. Le lesioni dei pazienti con SM si trovano di norma in diversi stati evolutivi, essendo il gadolinio captato solo da alcune delle placche visibili in T2 e da altre aree non ancora evidenziabili in tale sequenza. Studi seriati condotti nello stesso paziente hanno evidenziato, nelle forme RR e RP, che non esiste una stretta correlazione tra lesioni e sintomi: la frequenza di nuove lesioni è maggiore delle ricadute cliniche. Non sembra inoltre esistere correlazione tra entità del carico lesionale e disabilità, dimostrando come altri fattori possano influire sulla prognosi.Potenziali evocati . Consentono di individuare lesioni asintomatiche attraverso l’aumento della latenza dei potenziali, dimostrando quindi la disseminazione spaziale della malattia. La sensibilità diagnostica è comunque inferiore a quella della RM, con la sola eccezione dei potenziali evocati visivi. La latenza della componente P100 risulta alterata nel 90% circa dei pazienti con e nel 50% circa dei pazienti senza disturbi visivi. Sovente alterati risultano inoltre i potenziali evocati sensitivi (60%) e i potenziali evocati motori (65%). I potenziali evocati rivestono particolare utilità nei casi in cui si sospetta una genesi funzionale di sintomi neurologici.Diagnosi differenziale. Oggi semplificata grazie all’impiego della RM, va posta nei confronti dell’encefalomielite acuta disseminata, dell’encefalopatia vascolare sottocorticale, delle vasculiti, della sindrome da anticorpi antifosfolipidi, encefalopatia da HIV, interessamento cerebrale multifocale secondario a neoplasie e infezioni sistemiche (endocarditi). Nelle forme a elettiva localizzazione midollare, la diagnosi differenziale si pone con i processi mielitici acuti e cronici, tumori intra-assiali e mielopatie vascolari (ischemie, fistole durali).Terapia dell’attacco acuto. Nelle forme RR, le poussées di lieve entità non necessitano di alcun trattamento, data la loro spontanea tendenza alla regressione. La terapia elettiva in caso di esacerbazioni medio-gravi si attua mediante l’utilizzo di steroidi ad alte dosi. Il metilprednisolone ad alte dosi migliora sensibilmente il quadro clinico fin dai primi 3-5 giorni di trattamento. Esso riduce la frequenza delle ricadute, ma non sembra tuttavia poter influenzare il decorso naturale della malattia. Pur non esistendo ancora studi controllati che stabiliscano la miglior dose e la durata del trattamento, lo schema più utilizzato prevede l’impiego iniziale di 1 g e.v. Tale farmaco, se utilizzato per 8-10 giorni alla dose di 1 g, sembra in grado di ridurre persistentemente (per 2 mesi) i segni paraclinici di malattia evidenziati in RM. In pazienti con neurite ottica, il metilprednisolone (1 g/die per 3 giorni e successiva riduzione graduale) riduce il rischio di sviluppare un’evidenza clinica di SM per 2 anni, mentre il prednisone per os alla dose di 100 mg/die sembra avere effetto peggiorativo sull’evoluzione. L’efficacia clinica del metilprednisolone si basa sull’effetto antiedemigeno e antinfiammatorio; dotato di effetto immunosoppressore, induce linfocitolisi, riduce l’attivazione linfocitaria, l’espressione degli antigeni MHC2 e la secrezione di IL-1 e TNF da parte dei macrofagi.Terapie sintomatiche.Spasticità: baclofen 50-100 mg, tinazidina 12-18 mg, diazepam 5-20 mgManifestazioni “parossistiche”: carbamazepina 200-800 mgParestesie e mialgie: amitriptilina 30-60 mgAffaticamento: amantadinaMinzione imperiosa: anticolinergici (propantelina)Rieducazione neuromotoria.Terapie immunosoppressive. Gli obiettivi delle terapie immunosoppressive attualmente in corso di sperimentazione nelle diverse forme cliniche consistono nel rallentamento della progressione della malattia e nella prevenzione delle ricadute. L’efficacia terapeutica viene valutata in base alla clinica, all’evoluzione dei quadri ottenuti in RM e mediante lo studio dei potenziali evocati.Azatioprina (AZA). È il farmaco immunosoppressore usato da più lungo tempo nella terapia della SM, alla dose di 3 mg/kg/die, inibisce la sintesi delle purine e dunque la replicazione cellulare linfocitaria. I risultati di una metanalisi dei lavori più significativi hanno dimostrato una piccola, ma significativa differenza per quanto riguarda il rischio di ricadute a vantaggio del gruppo trattato con AZA rispetto al placebo (già presente a 1 anno con incremento dopo 2 anni e mantenimento dopo 3 anni). Appare pertanto indicata nei pazienti con decorso remittente a elevata frequenza di ricadute, in una fase precoce di malattia, mentre i vantaggi nelle forme CP restano dubbi, essendo stata dimostrata l’assenza di effetti significativi sulla disabilità residua a 1 e 3 anni.Methotrexate. Utilizzato a basse dosi per os (7,5 mg alla settimana) rallenta lievemente l’evoluzione nelle forme CP.Interferoni (IFN). Costituiscono una famiglia di citochine dotate di proprietà antivirali e immunomodulanti; si distinguono in IFN tipo I (a e b, molto simili tra loro) e tipo II (g). La somministrazione sistemica di IFN-g peggiora l’EAS e induce un aumento delle ricadute attraverso un aumento dell’espressione degli antigeni MCH2 e delle molecole di adesione. Gli IFN tipo I sono dotati invece di azione immunosoppressiva (aumento dell’attività linfocitaria soppressoria, riduzione dell’espressione di MCH2): somministrati in pazienti con forme RR, riducono il numero e la gravità delle poussées, così come la comparsa di nuove lesioni in RM.La maggior parte degli IFN tipo I sono stati clonati e risultano disponibili come prodotti ricombinanti:rIFN2-a: i risultati di un trial clinico condotto in Italia nelle forme RR (9 MIU i.m. a giorni alterni) hanno documentato una significativa riduzione di attività della malattia. Il farmaco deve essere tuttavia utilizzato con cautela data l’elevata incidenza di effetti collaterali (affaticabilità, depressione).rIFN-b-1a: somministrato alle dosi di 6 MIU i.m., ha dato buoni risultati nelle forme RR.rIFN-b-1b: somministrato alla dose di 8 MIU s.c. a giorni alterni, si è dimostrato più efficace del precedente nel ridurre la gravità e la frequenza delle ricadute. Inoltre, sono in corso altri studi relativi alla riduzione di invalidità a lungo termine e all’utilità del farmaco nelle forme progressive. I principali effetti collaterali in corso di terapia con IFN sono: febbre (responsiva al paracetamolo), astenia, depressione, aumento degli enzimi epatici, modica leuco-piastrinopenia e comparsa di patologie autoimmuni.Copolimero 1 (Cop 1): inibisce l’EAS mediante meccanismo competitivo nei confronti della PBM per il sito di presentazione alle cellule immunocompetenti. Riduce la frequenza delle ricadute nelle forme RR, ma resta ancora incerta la sua attività sui parametri di RM e nelle forme progressive. La terapia prevede iniezioni s.c. quotidiane di 20 mg/die e non sembra gravata da effetti collaterali.Mitoxantrone (MTX): somministrato e.v. ad alte dosi (boli mensili con 20 mg), sembra indurre una riduzione significativa delle ricadute, della disabilità e del numero delle lesioni attive in RM, mentre non si è finora dimostrato utile nelle forme CP.Altri farmaci: la ciclosporina nelle forme progressive rallenta la progressione della malattia, mentre non sembra esercitare beneficio nelle forme remittenti. L’elevata nefrotossicità ne controindica però l’utilizzo. Per quanto riguarda la ciclofosfamide (talora associata a plasmaferesi), mancano giudizi definiti sulla sua efficacia; i migliori risultati si sono ottenuti in soggetti con più di 40 anni affetti da forme secondariamente progressive. L’associazione della terapia steroidea con l’irradiazione linfoide totale sembra migliorare in modo significativo la prognosi delle forme CP, ma gli effetti collaterali rendono tale terapia di difficile applicazione.Immunoterapia selettiva. Sono attualmente in corso studi sperimentali che mirano a impedire l’attivazione dei cloni linfocitari autoreattivi e a favorire l’immunoregolazione (anticorpi monoclonali anti-CD4, anti-TCRVb e anti-MHC II, uso della tolleranza orale alla mielina, vaccini con linfociti T e peptidi del TCR), ma nessuno di tali studi si è per ora rivelato clinicamente efficace.
Dicembre 5, 2020 in S