Il termine tossicodipendenza viene sostituito, su suggerimento dell’OMS, dal termine più appropriato di farmacodipendenza, che si riferisce a uno stato di intossicazione periodica o cronica il quale costituisce pericolo o danno per il soggetto e il suo ambiente, risultante dall’assunzione ripetuta di una sostanza tossica naturale o sintetica.Le caratteristiche principali della farmacodipendenza sono rappresentate da un desiderio inarrestabile e coatto per una determinata sostanza, con necessità di assumerla continuativamente e compulsivamente, dalla tendenza ad aumentarne le dosi e da una conseguente dipendenza psichica, nonché fisica.Secondo il DSM-IV, la farmacodipendenza comprende due importanti gruppi all’interno dei disturbi da uso di sostanze, rappresentati dall’abuso e dalla dipendenza (a sua volta comprendente i concetti di tolleranza e astinenza).L’abuso di sostanze è una modalità patologica d’uso di una sostanza, che porta a menomazione o disagio clinicamente significativi, come indicato da alcune specifiche manifestazioni ricorrenti entro un periodo di 12 mesi: uso ricorrente della sostanza con incapacità di adempiere ai principali compiti connessi con il ruolo sul lavoro, a scuola o a casa; ricorrente uso della sostanza in situazioni fisicamente rischiose; ricorrenti problemi legali correlati alla sostanza; uso continuativo della sostanza nonostante persistenti o ricorrenti problemi sociali o interpersonali causati o esacerbati dagli effetti della sostanza.La dipendenza è, invece, sempre secondo il DSM-IV, una modalità patologica d’uso della sostanza che conduce a menomazione o a disagio clinicamente significativi con le seguenti caratteristiche: un fenomeno di tolleranza intesa come il bisogno di dosi notevolmente più elevate della sostanza per raggiungere l’intossicazione o l’effetto desiderato e un effetto notevolmente diminuito con l’uso continuativo della stessa quantità della sostanza.L’astinenza è la caratteristica sindrome conseguente alla cessazione (o riduzione) dell’assunzione di una sostanza precedentemente assunta in modo pesante e prolungato, che causa disagio clinicamente significativo e compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti. È rappresentata da sintomi quali midriasi, orripilazione, lacrimazione, sudorazione profusa, tachicardia, agitazione, paura e soprattutto il cosiddetto craving (desiderio smodato), che si traduce nella ricerca compulsiva della sostanza attraverso qualsiasi mezzo. Va inoltre ricordata un’astinenza tardiva o postastinenziale, che si verifica a distanza di molto tempo dalla disintossicazione e che è alla base delle ricadute.Nell’ambito del disturbo da dipendenza vi è poi la tendenza ad assumere la droga in quantità maggiori e per periodi più prolungati rispetto a quanto previsto dal soggetto, il desiderio persistente o tentativi infruttuosi di ridurre o controllare l’abuso, una grande quantità di tempo impiegata in attività necessarie a procurarsi la sostanza, ad assumerla o a riprendersi dai suoi effetti e l’utilizzo della sostanza nonostante la consapevolezza di avere un problema persistente e ricorrente, di natura fisica o psicologica, verosimilmente causato o esacerbato dalla sostanza.Oltre al rischio, sempre presente, di un sovradosaggio fatale, la dipendenza da sostanze comporta altre serie complicazioni. L’infezione da epatite virale B e altre infezioni virali, quali quelle da virus leucemico per le cellule T dell’uomo, responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita, rappresentano un’evenienza comune, dovuta all’uso di siringhe contaminate. Infezioni batteriche portano a complicazioni settiche come la meningite, l’osteomielite e ascessi in vari organi.Si è tentato da più parti di definire la componente eziopatogenetica della tossicodipendenza. Non appare identificabile attualmente una tipologia personologica, caratteristica e predisponente allo sviluppo di una dipendenza: ciò ha indotto a credere che non esista una psicopatologia specifica che sottenda al disturbo. D’altro canto, non è possibile sottostimare gli importanti problemi emozionali che possono condurre all’uso della droga (disturbi affettivi, disturbi d’ansia, episodi psicotici, ecc.).Un discorso a parte merita invece il ruolo che assumerebbero le endorfine, od oppioidi endogeni, implicate nella regolazione del dolore e della sensazione di benessere individuale, una cui alterazione determinata dall’apporto di oppioidi esogeni contribuirebbe causalmente al mantenimento di una pratica tossicomanica (dipendenza).Le maggiori teorie eziologiche si sono focalizzate pertanto sia sulle caratteristiche di personalità, sia sulle dinamiche familiari, sia sulle problematiche sociali e sui rapporti interpersonali. In realtà, a tutt’oggi non si può ancora parlare di una causalità univoca, poiché i fattori predisponenti e scatenanti sembrano essere estremamente embricati e difficilmente estrapolabili singolarmente.Olivenstein, uno dei massimi esperti in materia, definisce la tossicodipendenza come l’interazione di tre variabili che si influenzano vicendevolmente:la sostanza, con le sue proprietà chimiche e le sue connotazioni storiche (ad es., attualmente i consumatori di ecstasy non si ritengono tossicodipendenti e sono in conflitto con gli assuntori di sostanze per via endovenosa, da loro definiti “drogati”);l’ambiente con le sue variabili, ovvero l’accessibilità o meno alla sostanza (legata alle leggi in vigore); le variabili socioeconomiche (con l’attuale crisi economica e la conseguente disoccupazione si crea una sorta di adolescenza protratta in cui risulta difficile emanciparsi, con tutte le problematiche che ne conseguono); le variabili culturali (la visione che considerava l’uso e l’abuso di oppioidi come caratteristici di una classe sociale disagiata ed emarginata è stata contraddetta dalla grossa diffusione della droga nei quartieri delle famiglie anglosassoni benestanti); le variabili familiari (il ruolo della famiglia è stato enfatizzato da più parti: si è parlato di modelli di famiglia invischiata, caratterizzata da un forte coinvolgimento reciproco dei suoi membri, e di famiglia disimpegnata, dove al contrario regnano il distacco e il disinteresse reciproco. In tali costellazioni familiari, l’uso di droga da parte di uno dei suoi membri avrebbe una funzione omeostatica o anche di “capro espiatorio”, sul quale convergerebbero tensioni, conflitti, frustrazioni e fallimenti;l’individuo, che è patrimonio genetico, ma anche struttura psicologica legata a dinamiche esogene ed endogene (per gli psicoanalisti, cause e conseguenze dell’assunzione di droga possono essere comprese considerando come il processo di strutturazione della personalità di un individuo interagisce con le influenze dell’ambiente e con gli effetti della sostanza; l’avvicinarsi della droga rappresenta una disfunzione del rapporto Io/Sé, ossia vi è sostanzialmente un’incapacità o difetto dei meccanismi di difesa, dell’autostima e del prendersi cura di sé. La droga sarebbe una delle possibili risposte a queste problematiche).I criteri classificativi delle sostanze stupefacenti sono piuttosto numerosi. Se si considerano solo gli effetti clinici più paradigmatici, si può parlare di droghe down, ossia sostanze che deprimono il tono psichico, quali l’oppio e i suoi derivati, di droghe up, che al contrario lo innalzano, quali la cocaina e le amfetamine, e infine di droghe psicodislettiche, che alterano il rapporto con la realtà, quali l’LSD, la mescalina, la psilocibina, ecc.Sullo stesso concetto è basata una classificazione di Lewin, ancora considerata una delle migliori, che prevede le categorie denominate euphorica (oppio e cocaina), phantastica (allucinogeni, canapa indiana), hypnotica (barbiturici, benzodiazepine) ed excitantia (amfetamine).L’OMS, invece, ordina le droghe in base alla loro capacità di determinare dipendenza fisica e psichica o solo psichica e all’instaurarsi o meno, a seguito della loro assunzione, del fenomeno della tolleranza.Al di là, tuttavia, di una collocazione nosografica della sostanza, vanno considerati, come risulta in particolare dal DSM-IV, alcuni peculiari quadri di abuso, che si caratterizzano per specifici effetti della sostanza, per modalità di assunzione e dinamiche comportamentali conseguenti all’utilizzo della stessa.La modalità patologica d’uso degli oppioidi rappresenta forse la più diffusa. L’oppio, in altri tempi consumato per bocca (pipe, pillole, cross residuo della pipa laudano), è attualmente usato per iniezione sotto forma di morfina, il suo principale alcaloide, e più ancora sotto forma dei derivati della morfina, come eroina e codeina. La morfina viene assunta per via endovenosa e provoca un allontanamento dell’ansia e di ogni stato d’animo spiacevole in cui il soggetto non dimentica le ragioni delle proprie sofferenze, ma esse vengono svuotate di ogni contenuto affettivo. Tali effetti sono facilitati da una leggera azione sedativa, che crea una specie di “stato di beatitudine”. Analogo quadro clinico è rappresentato dall’uso di codeina, peraltro utilizzato dai tossicodipendenti solamente come temporaneo e occasionale succedaneo di morfina ed eroina.L’eroina è attualmente la più usata e nettamente più tossica rispetto alla morfina. Viene assunta a dosaggi che possono variare da 150 mg a 5-6 g giornalieri: la pericolosità di tale sostanza è data dal rapporto tra le dosi stupefacente e letale, che risulta molto ridotto (aumentando in tal modo il rischio di sovradosaggio, rappresentato dalla grave crisi di overdose con rischio di depressione respiratoria e dello stato di coscienza, nonché morte); il metabolismo più rapido spinge ad assunzioni più ravvicinate (maggior affanno nella ricerca della “roba”, maggior potere criminogeno per difficoltà di approvvigionamento).È stato proposto un inquadramento clinico nosografico che prevede una tipologia di tossicodipendenti reattivi, autoterapici e metabolici.Il primo gruppo comprenderebbe coloro che assumono sostanze a seguito di eventi esistenziali e ambientali avversi, senza la presenza di gravi disturbi della personalità o del carattere, se non quelli propri dell’età adolescenziale. Nel secondo gruppo, ci sarebbe un inconscio tentativo di autoterapia per combattere disturbi psicopatologici preesistenti. Dopo due anni di assunzione, con relative fasi di astinenza e di ricerca ostinata della sostanza, nonché di comportamenti recidivanti, si delinea un terzo gruppo, che è appunto quello dei tossicodipendenti metabolici.L’assunzione di tali sostanze prevede pertanto un iter clinico abbastanza caratteristico. Inizialmente, vi è uno stadio dell’incontro o della “luna di miele”, in cui l’individuo, non assuefatto, sperimenta lo “sballo” o “flash”, ossia sensazione di euforia, senso di sicurezza, “orgasmo sessuale” localizzato a livello dell’addome. Segue una “beatitudine sonnolenta” popolata di sogni piacevoli. In questo contesto, il soggetto è convinto di poter interrompere l’uso della sostanza in qualsiasi momento. A questa fase, però, ne segue una “intermedia” o “delle dosi crescenti” in cui, mantenendo costante la dose assunta, tendono a comparire sintomi d’astinenza che sostituiscono quelli inizialmente euforizzanti, ma che costringono il soggetto ad aumentare i dosaggi per riprovarne gli effetti iniziali. Tuttavia, sarà parallelamente sempre più grave il rimbalzo astinenziale, di modo che diventa sempre più necessario l’aumento della dose, fino a quando lo stato di euforia non diventa più raggiungibile e il soggetto oscilla tra uno stato di malessere psicofisico da astinenza e una “normalità” sempre più difficile da ottenere (tossicodipendente scompensato o “a rota”). Si può giungere al quadro della “depravazione”, in cui il tossicomane è orientato costantemente e con ogni mezzo, lecito o meno, alla ricerca della sostanza.Infine, interviene una fase delle ripetute disintossicazioni, in cui il soggetto, presa coscienza del proprio stato psicofisico, opera tentativi di disintossicazione dapprima autogestiti e poi diretti da centri sanitari di cura che impostano parallelamente programmi di riabilitazione. Si assiste pertanto al cosiddetto fenomeno della “porta girevole”, in cui il tossicodipendente presenta frequenti recidive alternate a periodi di recupero funzionale durante i quali, tuttavia, persiste la necessità saltuaria di riassumere la sostanza. È proprio in tale periodo, tuttavia, che aumenta il rischio di morte per overdose, in quanto si ha una progressiva riduzione della tolleranza agli oppiacei a seguito della disintossicazione, il che può far sì che un dose uguale a quella assunta nel periodo di tolleranza risulti spesso letale.Nell’ambito del gruppo degli oppioidi va preso anche in considerazione il metadone
, un analgesico oppiaceo di sintesi che viene impiegato nella terapia di disintossicazione e di disassuefazione da eroina e morfina e nelle sindromi d’astinenza. Tale molecola è chimicamente dissimile dalla morfina, ma possiede le stesse proprietà, è efficace per via orale e ha un’azione molto protratta e i sintomi di astinenza, anche se più protratti, sono molto meno intensi. Attualmente, tale sostanza è in parte sostituita dall’impiego di altre, in particolare nella disintossicazione rapida, quali il naloxone
e il naltrexone
, due antagonisti degli oppioidi.Altro grande gruppo di sostanze è rappresentato dalle amfetamine e allucinogeni.Gli amfetaminici (e derivati sintetici quali il metilfenidato, la metedrina, la benzedrina, ecc.) vengono assunti prevalentemente per via orale, e raramente per via parenterale, e provocano un’intensa stimolazione del SNC che si estrinseca prevalentemente attraverso un aumento del release di dopamina e noradrenalina, un’inibizione delle monoaminossidasi e una azione diretta sui recettori catecolaminergici. L’assunzione di amfetamina provoca un aumento dello stato di vigilanza molto intenso, con riduzione del senso di fatica e del bisogno di sonno, un incremento del tono dell’umore, un’iperattività motoria con eccitazione mentale, insonnia e iporessia. Tuttavia, a questa fase di benessere (rush), talora fino all’euforia, segue una fase di prostrazione fisica e psichica (crash), con depressione profonda e astenia importante. Tale effetto facilita il fenomeno della tolleranza che si instaura molto rapidamente, determinando le frequenti intossicazioni acute da superdosaggio caratterizzate da vertigine, cefalea, vomito, diarrea e tachiaritmie, nonché morte per stato convulsivo, ipotensione e collasso cardiocircolatorio. Gli amfetaminici non sembrano provocare dipendenza fisica. L’abuso avviene di solito per periodi non superiori ai 10-15 giorni, detti runs (corse).Gli allucinogeni possono essere di origine vegetale (mescalina, psilocibina e dimetiltriptamina) o sintetica (LSD, dimetossifenilamfetamina, fenciclidina). Il più importante è rappresentato dalla dietilamide dell’acido lisergico (LSD), che agisce a livello centrale, determinando un blocco della liberazione di serotonina, nonché incrementando la cessione di catecolamine e secondariamente di dopamina. Si trova sotto forma di compresse o di carta assorbente e di pellicola fotografica imbevuta della soluzione diluitissima. L’assunzione determina una prima fase con malessere generale, brividi, nausea, tachicardia a cui segue il caratteristico trip (viaggio) che dura per 5-6 ore circa e nel quale compaiono allucinazioni fantasmagoriche, caleidoscopiche, accompagnate da intensi disturbi dello stato di coscienza fino al disorientamento temporospaziale, da sinestesie suono-colore e sensazioni di modificazione dello spazio circostante (aumento e rimpicciolimento), modificazione dello schema corporeo e fenomeni di depersonalizzazione. La terza fase, infine, prevede un ritorno progressivo alla realtà con persistenza del ricordo dell’esperienza provata. Va detto che il “viaggio” non è sempre piacevole ed è perciò spesso necessaria la presenza di trascinatori (leader) che forniscono l’esperienza dei loro consigli e un appoggio rassicurante. È difficile talora discriminare ciò che è determinato dalla droga e ciò che è dovuto all’atmosfera suggestiva del gruppo all’interno del quale viene spesso assunta.Un effetto tipico a distanza di tempo dall’assunzione è il cosiddetto flashback, o esperienza di ritorno, in cui si rinnovano allucinazioni e illusioni esperite durante il viaggio o si manifestano, anche a distanza di mesi, episodi psicotici.La cocaina è l’alcaloide attivo delle foglie di coca. Viene assunta per via orale (foglie masticate), ma più frequente per via inalatoria, sia sotto forma di polvere (“neve”), sia a mezzo di instillazioni in soluzione acquosa, sia per via endovenosa. Di recente introduzione è l’alcaloide free base (crack), che viene fumato. In acuto, provoca uno stato di eccitazione, loquacità, euforia e disinibizione istintuale, potenzia l’attività mentale e muscolare e diminuisce il senso di fatica. Il soggetto, sopravvalutando le sue reali potenzialità, può compiere azioni inconsulte e spregiudicate. La cocaina non dà fenomeni di tolleranza, ma, a causa del suo rapido metabolismo, porta a un’assunzione ripetuta e continua; non è dimostrata una dipendenza fisica. In cronico, induce progressivamente perdita di memoria, perdita della potenza sessuale e riduzione della spinta volitiva. È attualmente descritto un solo quadro di abuso, con caratteristici episodi di intossicazione talmente gravi da produrre allucinazioni e deliri a sensorio integro.Tra i derivati della Cannabis (cannabinoidi), il principio attivo più conosciuto è il tetraidrocannabinolo (THC). Tra le varie preparazioni, troviamo al livello più basso la marijuana, fumata da sola o mescolata a tabacco, mentre la preparazione più potente è rappresentata dall’hashish. Quest’ultimo è disponibile in forma di tavolette o pani di vario colore, che possono essere ingeriti o polverizzati e mescolati al tabacco. Pochi minuti dopo l’assunzione provoca un senso di angoscia e paura di breve durata, seguito da uno stato di rilassamento piacevole; dopo due ore circa può insorgere sonnolenza, superata la quale il soggetto ritorna alla completa normalità. Va detto che le reazioni a una dose media possono variare a seconda se viene assunta da un consumatore esperto o a una prima assunzione (euforia, gaiezza, facile comunicabilità, nel primo caso, effetti somatici sgradevoli, paura, debolezza nel secondo caso). Anche per queste sostanze non è dimostrata una dipendenza fisica ed esiste un fenomeno di tolleranza inversa, ossia il fatto che l’intensità degli effetti si esalti, in consumatori abituali, quando la quantità di stupefacente viene ridotta. Solo l’acquisizione di una certa esperienza e dimestichezza con la sostanza consente infatti di superare le sensazioni negative delle prime assunzioni.Un ultimo cenno va fatto all’abuso di barbiturici e farmaci ansiolitici, il cui uso terapeutico è certamente superiore a quello voluttuario. Sono infatti impiegati in medicina essenzialmente come antiepilettici e ipnotici. La via di assunzione preferenziale è quella orale. La dipendenza da queste sostanze è per lo più di origine iatrogenica (un esempio caratteristico sono le benzodiazepine e alcuni prodotti antidolorifici o anticefalalgici associati a piccoli dosi di barbiturico, che per il loro effetto modicamente ansiolitico ed euforizzante possono diventare oggetto di abuso continuativo).L’abuso si configura per l’equivalente di 600 mg di secobarbital o 60 mg di diazepam e per la presenza di periodi di amnesia per gli eventi verificatisi durante il periodo di intossicazione.L’intossicazione acuta da barbiturici è quasi sempre legata a condotte suicidarie. Tali farmaci possono provocare crisi di astinenza che sono tanto più gravi quanto maggiore è il dosaggio assunto fino al momento della sospensione brusca, ponendo talora il paziente in pericolo di vita. Uno stretto legame esiste tra barbiturici e alcool, dal punto di vista sia clinico (intossicazione e astinenza) sia farmacologico, tanto è vero che è stata dimostrata una tolleranza crociata tra alcool e barbiturici, che giustifica il ricorso di alcuni etilisti ai barbiturici come sostituti dell’alcool (“ubriachezza senza odore”).Tra le droghe di recente introduzione merita menzione l’ecstasy (MDMA), sostanza composta da allucinogeni più amfetamine in quantità variabile, che possiede un’azione dopaminergica e serotoninergica e che si assume per os. È definita droga socializzante perché abbassa le difese creando un artificioso aumento dell’autostima che favorisce l’incontro e il dialogo. È molto pericolosa perché solitamente assunta in discoteche o locali di ritrovo. La scarsa aerazione, la perdita di liquidi col sudore e l’azione chimica della sostanza possono portare a colpi di calore e ipertermie anche mortali. Studi in consumatori cronici dimostrano depressioni con angosce paranoidee di tipo devastante.Inoltre, vanno considerati la bufotenina, estratta dalle ghiandole sebacee di rospi, che possiede azione amfetamino-simile, e il popper, nitrito di alchile che provoca violenti stati eccitatori e danni cerebrali e vascolari.La terapia della tossicodipendenza si articola attraverso un intervento multidisciplinare che prevede una visione globale del problema dal punto di vista biologico, psicologico e sociale. Pertanto, benché possano esistere interventi mirati a seconda del tipo di sostanza assunto, una terapia dovrebbe essere sempre rivolta a recuperare il paziente non solo sul piano fisico, nel senso di una liberazione dalla sostanza in questione, ma anche sul piano della sua funzionalità nei rapporti sociali e familiari e su una sua corretta strutturazione psicodinamica. In tal senso, la più frequente dipendenza da oppiacei e analgesici prevede un approccio da un lato psicoterapeutico, dall’altro farmacologico. La psicoterapia a indirizzo analitico viene proposta come elettiva e presuppone la non assunzione della sostanza e l’assenza di farmaco sostitutivo o psicofarmaci. Questi ultimi, infatti, secondo gli psicoanalisti più conservatori, non permetterebbero di mantenere adeguati “livelli di coscienza” che consentano al paziente di avere consapevolezza del reale iter terapeutico. Inoltre, si ridurrebbero le “motivazioni” a proseguire nel lavoro terapeutico una volta raggiunta una situazione di benessere ottenuta farmacologicamente. Tuttavia, tale posizione risulta spesso attenuata dal fatto che l’aderenza a un lavoro psicoanalitico è spesso resa difficoltosa, se non impossibile, dall’atteggiamento strutturale di personalità: tendenzialmente tali pazienti sono poco tolleranti al miglioramento delle proprie condizioni con metodi lunghi e laboriosi, vista la necessità di gratificazione immediata che li ha condotti all’utilizzo delle varie sostanze.La terapia disintossicante iniziale può essere a breve termine e, in questo caso, segue un preciso protocollo accettato dal Ministero della Sanità. La terapia a lungo termine può richiedere l’utilizzo di molecole sostitutive, quali il metadone, oppure una terapia con antagonisti per gli oppioidi, quali il naltrexone o il naloxone. L’intervento rieducazionale operato nelle comunità terapeutiche può rappresentare l’indispensabile completamento dell’intervento terapeutico, per consentire al soggetto un completo reinserimento in attività sociali produttive.Per quanto riguarda la terapia della dipendenza da cocaina e sostanze amfetamino-simili, nonostante il trattamento farmacologico (soprattutto farmaci anticraving, tra cui amantadina, bromocriptina, farmaci serotoninergici, triciclici, sali di litio, piridossina, calcio antagonisti, analoghi dell’arginina, diazepam, ecc.) possa rappresentare in futuro un’importante arma terapeutica, risulta determinante il ruolo che l’ambiente svolge in questo tipo di dipendenza attraverso meccanismi di condizionamento e aspecifici di rinforzo, soprattutto nella fase di estinzione dove hanno priorità causale gli stimoli ambientali nella determinazione del craving. Pertanto, vengono di solito preferite terapie comportamentali e psicodinamico-cognitive. Infine, il trattamento di dipendenze da sostanze psichedeliche può richiedere dapprima un intervento strettamente medico, volto a superare gli effetti sintomatologici devastanti di tali sostanze, e in seguito lavoro psicoterapico in pazienti che solitamente risultano, peraltro, poco motivati e cooperanti.